La manifestazione di Genova
“Memoria della Shoah, basta scempi”

“Senza Memoria, non può esserci nemmeno il presente. Oggi più che mai è necessario chiedersi se la società in cui stiamo vivendo ha recepito il messaggio ed è immune da questi germi. È una società sana? Oppure, ancora una volta, alcune fasce della popolazione pensano a soluzioni autoritarie?”.
Interrogativi laceranti e che Ariel Dello Strologo, il presidente degli ebrei genovesi, ha sollevato durante il tradizionale momento d’incontro e testimonianza in memoria dei correligionari deportati dal nazifascismo promosso dalla Comunità ebraica insieme a Comunità di Sant’Egidio e Centro culturale Primo Levi.
Era un 3 di novembre del 1943 quando presero avvio retate e rastrellamenti. Un drammatico anniversario ricordato anche quest’anno da centinaia di persone raccoltesi nella Galleria Mazzini dove fu arrestato il rabbino capo Riccardo Pacifici. Memoria viva, anche contro oblio e strumentalizzazioni del presente.
“Spesso assistiamo a distorsioni, come accaduto a Novara. O vediamo i fantasmi del fascismo che tornano a essere compagni di strada di atti violenti. Per questo la Memoria non può essere un oggetto da mettere sul comò, circondata da retorica: altrimenti – la riflessione di Dello Strologo – abbiamo sbagliato tutto”.
Un invito alla consapevolezza è arrivato anche dal rabbino capo rav Giuseppe Momigliano: “La nostra presenza in questo luogo e in questa circostanza in rappresentanza di istituzioni e idealità diverse ci dice anche di un impegno che a noi tutti compete, ciascuno nel proprio campo, a che la Memoria sia non semplicemente mantenuta ma approfonditamente conosciuta, compresa, interpretata nei suoi vari aspetti di storia e di valori umani e se ne traggano i corretti insegnamenti”. Un’azione necessaria al fine di “evitare lo scempio e le vergognose deformazioni del ricordo della Shoah cui assistiamo da tempo in vari casi e che nei recenti fatti di Novara hanno avuto rappresentazioni fuori di ogni decenza”.
Tra i partecipanti alla cerimonia il sindaco Marco Bucci, l’assessore alla Cultura Ilaria Cavo, il prefetto Renato Franceschelli, il questore Orazio D’Anna, l’arcivescovo Marco Tasca, il responsabile di Sant’Egidio Andrea Chiappori.
Di seguito l’intervento del rabbino capo rav Giuseppe Momigliano:
È veramente significativo che si possa ritornare a questo momento di ricordo della deportazione degli ebrei da Genova con la presenza di folto pubblico e delle maggiori cariche istituzionali laiche e religiose della Città di Genova e della Regione ( … ), una presenza numerosa e rappresentativa di tante anime diverse della cittadinanza che testimonia innanzitutto il valore fondante della Memoria, come elemento essenziale di un’identità condivisa che ci unisce nel rispetto di tutte le differenze e peculiarità. La nostra presenza in questo luogo e in questa circostanza in rappresentanza di istituzioni e idealità diverse ci dice anche di un impegno che a noi tutti compete, ciascuno nel proprio campo, a che la Memoria sia non semplicemente mantenuta ma approfonditamente conosciuta, compresa, interpretata nei suoi vari aspetti di storia e di valori umani e se ne traggano i corretti insegnamenti, onde evitare lo scempio e le vergognose deformazioni del ricordo della Shoà cui assistiamo da tempo in vari casi e che nei recenti fatti di Novara hanno avuto rappresentazioni fuori di ogni decenza.
Come è potuta avvenire una cosa simile, possiamo coglierne alcune cause? E’ possibile che la trasmissione della Memoria sia stata veicolata con un’accentuazione, comprensibile ma forse preponderante, sugli aspetti emozionali, sulla condivisione dei sentimenti di pietà e sgomento a scapito di una puntuale ricostruzione storica dei fatti: lo stravolgimento, la strumentalizzazione, la banalizzazione della Memoria possono avere inizio da una conoscenza parziale, superficiale della Shoah, quando si coglie il momento culminante, l’orrore dello sterminio ma se ne ignora l’evoluzione. Occorre fare molta attenzione. Ignorare il percorso degli eventi che hanno condotto alla Shoah non costituisce semplicemente una lacuna di conoscenze teoriche, il pericolo è anche quello di collocare la Shoah in una dimensione astratta, in cui l’assenza di riferimenti storici esenta da un esame molto più approfondito di errori, di colpe, responsabilità, miopie e debolezze che furono di tanti, e che, passo dopo passo, portarono al risultato estremo e che sono anche quelle colpe e quegli errori fatali che possono ripetersi, perché anche se siamo convinti che Auschwitz non si ripeterà tuttavia un percorso analogo può ripetersi e portare ad altri terribili tragedie. Allora, solo per accennare al problema, il ricordo deve partire dalle leggi razziali che sul piano strettamente politico furono il frutto dell’alleanza tra Italia fascista e Germania nazista, ma avevano fondamento ideologico nel sostrato di antigiudaismo, di antisemitismo e razzismo ben più radicato e di lontana origine che deve essere riconosciuto perché a quanto pare non è affatto scomparso e ancora si manifesta in altre forme; ancora più indietro bisogna risalire alla caduta dell’Italia nelle rete del regime dittatoriale fascista, e, con aspetti in parte simili, l’ascesa al potere del nazismo, per comprendere le cause per cui la libertà possa essere smarrita con gli esiti che conosciamo. C’è un’altra considerazione da fare, antisemitismo e razzismo oltre ad essere scelte, devastanti, foriere di tragedie sono anche risposte false a problemi reali che non sono stati individuati e a cui non si è saputo fornire risposte autentiche. Così lo stravolgimento della Memoria della Shoah con le folli elucubrazioni e paragoni assurdi a cui assistiamo in questo periodo, rischia di distoglierci dall’interpretazione dei problemi reali di oggi e ci allontana dalla comprensione e dall’elaborazione di corrette strategie. Uno degli insegnamenti che dobbiamo trarre dalla Memoria della Shoah è la consapevolezza che i problemi più gravi, come pure i valori più importanti hanno dimensioni universali, la tentazione di isolarsi, di difendere presunte posizioni privilegiate, di poter proteggersi da mali più gravi incuranti di ciò che possa toccare ad altri è un’illusione destinata a fallire.
Senza entrare nello specifico dei problemi relativi alle prese di posizione contro il green pass, per quello che ci riguarda in questo momento di ricordo e riflessione, c’è il fatto che in alcune di queste manifestazioni si evidenziano gravi problemi di identificazione del concetto stesso di libertà inoltre suscitano forti perplessità circa la capacità di valutare, interpretare e gestire le informazioni su cui si formano le idee e si delineano scelte e comportamenti, anch’essi connessi con la capacità di capire quando la libertà sia effettivamente in pericolo. Desidero a questo proposito proporre alcuni insegnamenti del pensiero ebraico nella misura in cui possono costituire motivo di riflessione in una prospettiva più ampia che riguarda l’uomo in senso universale. Un antico insegnamento rabbinico nel testo della Mishnà “Trattato dei padri” prende spunto dalla assonanza tra la parola kherut, che significa libertà e la parola kharut che definisce l’incisione dei Dieci Comandamenti sulle Tavole del Patto giunge a dire che “non è veramente libero se non colui che si occupa della Torà” qui nel senso di Legge rivelata ma al tempo stesso accettata e condivisa dal popolo; l’aspetto che desidero qui richiamare è proprio il legame tra libertà e legge, intesa questa non semplicemente come un codice, un insieme di norme per lo più aride estranee alla comune sensibilità, che si devono rispettare più che altro per non passare dei guai, bensì legge come espressione di un intreccio vivo di doveri e diritti che definiscono l’identità di un popolo; forse è possibile cogliere un aspetto di questo legame fecondo tra libertà e legge nel fatto che il testo rabbinico non dice “ non è libero se non chi osserva, rispetta la sacra legge” dice invece “ non è libero se non chi si occupa della Legge” forse vuol dire che la legge non è un enunciato da subire, che semplicemente impone dei comportamenti, di cose da fare o non fare, la legge è prima di tutto un insegnamento di vita che si deve cercare di capire, conoscere i motivi che lo hanno determinato, cercare di comprenderne gli obiettivi, le applicazioni, le eccezioni, verificare che sia sempre adeguato, se si siano create situazioni nuove rispetto alle quali la legge va messa a confronto. E’ chiaro che l’insegnamento dei rabbini ha un significato speciale dal punto di vista religioso in quanto ci parla della Legge di D. tuttavia ci apre uno sguardo suggestivo verso un rapporto diverso con le leggi del paese, con i principi della Costituzione, anche le normative stabilite in relazione al covid potrebbero apparire diverse a coloro che si oppongono in modo così virulento se recepite con atteggiamento di indagine e approfondimento, razionale e sensibile, al tempo stesso, anziché con reazioni emotive per lo più irrazionali. Un altro breve richiamo al pensiero ebraico è il valore dello studio, della competenza e conoscenza dei fatti come una componente essenziale della libertà, l’insegnamento ebraico (anch’esso nel “Trattato dei padri”) ci dice che è necessario procurarsi un maestro il quale a sua volta non ardisce mai definirsi con il termine più alto di sapiente, chakham, ma con più modestia è sempre un “allievo di sapiente”, ci indica inoltre alcune caratteristiche che ci aiutano a riconoscere chi sia veramente degno di essere considerato un saggio, dunque una persona di cui possiamo fidarci nel momento in cui lo prendiamo come riferimento, tra questi il modo in cui sostiene la discussione, il modo in cui consente all’interlocutore di esprimere le proprie argomentazioni e ne ascolta attentamente il contenuto, il modo in cui è capace di esprimere chiaramente le proprie idee ma anche di riconoscere le ragioni dell’avversario e persino di ammettere di non essere competente su qualche cosa in discussione. La libertà passa anche attraverso la capacità di non affidarsi ai falsi e ai cattivi maestri.
Il nostro ritrovarci in questo momento di commemorazione e in questo luogo centrale della città idealmente ci dice tuttavia di un impegno rivolto da parte di tutti noi al bene comune di questa città, della società in cui viviamo, un impegno rivolto al futuro, così come al futuro sono rivolte in questi giorni le preoccupazioni dei governanti del mondo nella ricerca di soluzioni perché il consorzio umano possa continuare a vivere su questa terra nel rispetto delle risorse della natura che sono un bene comune lasciato dall’Eterno all’uomo per un uso responsabile.
Il ricordo del più terribile tentativo messo in atto dagli uomini di imporre un regime di terrore e di morte sia per noi stimolo a creare le condizioni di vita, di pace e prosperità, che possano estendersi sempre più in ogni parte del mondo, con l’aiuto dell’Eterno.
Rav Giuseppe Momigliano
(4 novembre 2021)