I simboli orgoglio dell’Italia ebraica,
la mostra al Nahon di Gerusalemme

Nel 1620 Rachele Olivetti, in preparazione del suo matrimonio, ricama con grande cura una magnifica Parochet (manto che copre l’Aron Kodesh, armadio dove è custodita la Torah). Al centro vi pone, tra i diversi decori, anche gli stemmi della sua famiglia e di quella del futuro sposo, Yehuda Montefiori, accompagnati da una elegante e romantica descrizione in rime. Romantica perché riferendosi allo stemma dei Montefiori, un leone con un giglio in mano, lo descrive come “bello e affascinante”. “È abbastanza chiaro che si tratti di un gioco di parole: il leone non è solo il simbolo della famiglia Montefiori, ma era anche il nome italiano di Yehuda. Una bellissima dedica che compare, in modo inusuale, su una parochet. Un esempio perfetto per spiegare il significato della nostra mostra che, attraverso simboli e stemmi, racconta un aspetto peculiare dell’ebraismo italiano”. La mostra in questione è quella inaugurata di recente al museo Nahon di Gerusalemme: “Cose di famiglia”. A raccontarne il significato a Pagine Ebraiche, il curatore del museo e dell’esposizione Daniel Niv. “L’idea nasce dal mio percorso di studi. Alcuni anni fa avevo seguito un corso all’Università Ebraica con il professor Shalom Sabar, esperto di arte ebraica, e approfondito il tema degli stemmi e simboli utilizzati nei secoli dalle famiglie ebraiche. Avendo anche ascendenze ferraresi mi interessai in particolare alla realtà italiana”.
Una realtà molto peculiare su questo fronte, spiega Niv. Soprattutto per la diffusione dell’utilizzo di questi stemmi. “Gli ebrei italiani, al loro apice, non superavano le 50.000 unità, eppure, abbiamo documentazione di circa 250 famiglie associate ad almeno un simbolo familiare. Un numero così alto non si registra in nessun altro paese e rappresenta una prospettiva interessante per capire la società ebraica italiana”.
Da qui l’idea di presentarlo al pubblico del Nahon di Gerusalemme, attraverso i suoi oggetti. “Osservando i simboli presenti su kettubot, parochot, hannukiot, possiamo trarre informazioni sul livello sociale e culturale delle singole famiglie, ma anche sapere di più del contesto in cui vivevano”. Ci sono simboli che ritornano, come il leone rampante per esempio, dimostrazione che non c’era un’esclusiva sulla scelta di cosa raffigurare. “Ci sono oggetti che si tramandano di generazioni e altri che passano da una famiglia ad un’altra senza necessariamente che vi siano legami. Abbiamo a riguardo l’esempio di una Meghillat Esther in cui lo stemma apposto non rispecchia il nome del proprietario che invece è segnato”. Questo apre la porta a riflessioni su come avvenissero i passaggi di mano di questi oggetti. Ma ci sono altri esempi di stemmi ancora in uso dalle famiglia. “La famiglia Bemporad (Ben Porat) è conosciuta soprattutto come proprietaria della mitica casa editrice di libri ‘Bumford & Sons’, ma un altro ramo della famiglia si occupava di banche, soprattutto a Firenze e Siena. – si spiega nella mostra – Il lato editoriale non adottò un marchio di stampa come fecero gli stampatori ebrei nei secoli passati. Il ramo bancario, invece, adottò un simbolo che si può ancora vedere decorare gli edifici di due banche a Firenze e Siena, finanziate da membri della famiglia. Il nome della famiglia, così come il suo simbolo, sono basati sulla benedizione di Giacobbe a suo figlio Giuseppe che descrive una fontana che scorre con alti alberi al suo fianco”. Ora il simbolo dei Ben Porat in mostra può essere visto su un anello. “E la cosa significativa – spiega il curatore del Nahon – è che ancora oggi le donne della famiglia, sia in Israele che in Italia, portano con orgoglio un anello con quello stemma. In mostra abbiamo voluto esporre una fotografia di questo legame che oltrepassa i secoli e arriva fino al presente”.
L’esposizione al Nahon, continua Niv, è divisa in quattro sezioni. La prima è un’introduzione al significato dei simboli, a come spesso siano gli stessi della società cristiana, e solo in parte richiamino specificamente temi ebraici. La seconda, un approfondimento su come ci sia una differenza tra l’uso dei simboli nello spazio privato a quello nello spazio pubblico, ovvero tra casa e sinagoga. “In generale gli stemmi compaiono più sugli oggetti di uso privato o comunque utilizzati in casa, mentre per i doni alle sinagoghe i singoli preferivano specificare i propri nomi più che utilizzare il simbolo della famiglia”.
La terza parte della mostra è dedica ai matrimoni, con l’esposizione della citata parochet ricamata da Rachele Olivetti. “Infine la quarta vuole rappresentare al pubblico israeliano l’importanza nell’ebraismo italiano della famiglia. Una dimensione certo condivisa da tutti gli ebrei, con però la particolarità di poter risalire nell’albero genealogico ad antenati vissuti molti secoli prima. Un elemento caratterizzante di cui essere orgogliosi, come raccontano i diversi stemmi”.

dr