La ripetizione

Inutile cercare di ragionare con chi, invece, ritiene di avere la «verità» dalla sua parte. Anzi, di esserne depositario quand’anche i fatti dovessero testimoniare altrimenti. Nel qual caso, per costui (o costoro) tanto peggio per i fatti. Non è solo un problema di razionalità difettante. Si tratta semmai di un specie di falsa razionalità alternativa, contrapposta a quella di buon senso. Quest’ultima, semmai, deriva non tanto dall’avere competenze in quel qualcosa che è oggetto di discussione pubblica ma soprattutto dal sapere comprendere quale sia l’oggetto medesimo e come ci si debba disporre a tale riguardo. Per ritornare ad un esempio ricorrente ai giorni nostri: non c’è bisogno di essere un virologo o un infettivologo per comprendere la necessità della distribuzione dei vaccini tra la popolazione. Una tale comprensione nasce da quella ragionevolezza che deriva non da un sapere astratto ma dalla capacità, che dovrebbe accompagnare ogni cittadino, di coniugare diritti fondamentali propri, manifestazioni di libertà, autonomia personale con la responsabilità sociale. Se ciò non si ha, riparandosi dietro l’ombrello di una libertà individuale intesa come illimitata, ossia non contemperata a quella altrui, i rapporti collettivi sono inesorabilmente destinati a deragliare. Nella protesta antivaccinista e contro il Green Pass convergono molti malumori, che hanno trovato in queste due motivazioni una sorta di elemento di coagulo. Poiché per molti di coloro che si dichiarano contro l’una soluzione sanitaria e l’altro strumento amministrativo, si celano evidentemente ragioni di disagio più complesse ed articolate. Se nessuna concessione va data al riguardo, almeno uno sforzo di comprensione si impone, altrimenti non se ne verrà mai del tutto a capo, con gravi disagi per non poche persone invece del tutto incolpevoli. In quanto i metodi del cosiddetto «movimento no vax» – un arcipelago di individualità, al momento ancora indistinte, in parte cavalcato da alcuni elementi della destra radicale e della sinistra cosiddetta «antagonista» – di democratico hanno assai poco, cercando piuttosto di prevaricare che non di costruire linee di dialogo. È nella sua natura, al pari di altri fenomeni che si sono succeduti in questi ultimi trent’anni. Tutti contrassegnati dal bisogno di usare singoli temi e problemi collettivi, slegati dal più ampio contesto sociale, come strumenti identitari, sui quali riversare il proprio bisogno, altrimenti del tutto insoddisfatto, di auto-affermazione e di protagonismo. Si tratta di una traiettoria che si accompagna al declino dei soggetti della mediazione istituzionale (organizzazione, partiti, sindacati e quant’altro) e che non a caso si celebra come forza e potenza di auto-organizzazione. Se una cosa non funziona, scendo in campo, urlando la mia rabbia. Una tale spinta, per l’appunto, non può quindi essere trascurata. L’accostamento tra rigetto di una pratica sociale (vaccinarsi così come esibire un riscontro amministrativo di tale condizione), di uso comune, e il richiamo isterico alla «libertà» personale, segna non tanto un irrazionalismo di ritorno quanto un rigetto delle procedure condivise con le quali, invece, ognuno di noi si riconosce come parte di una comunità di cittadini. Nel nome di un sogno illusorio di indipendenza assoluta, prima di tutto dagli stessi dati di fatto, non a caso contestati a prescindere. Rimane di certo il riscontro che il vero nocciolo della protesta non siano i vaccini in quanto tali, e neanche la disobbedienza verso un obbligo di riscontro, ossia il Green Pass, quanto la ribellione anti-élite che è divenuta un argomento dominante delle molte manifestazioni di piazza. Gli uni e l’altro, infatti, sono descritti come strumenti di un potere tanto subdolo quanto pervasivo. L’immaginario è qui all’opera, rivelandosi ancora una volta un’utile miscela per mobilitare una parte della popolazione, non importa quanto minoritaria. Quando un realtà muta nel tempo, e di essa non se ne coglie il disegno strategico, dovendo però pagare un qualche dazio, allora è facile che ci si rifugi in una denuncia tanto confortante quanto illusoria. Cercano una causa unificante. Si tratta, ancora una volta, di un processo di semplificazione cognitiva ed emotiva di qualcosa che, altrimenti, è vissuto come così complesso da risultare indecifrabile. In quanto tale, ancora più minaccioso per l’esistenza degli individui. Che si sentono scoperti, ossia abbandonati a se stessi, non tutelati, non protetti, quindi non considerati. La rivolta contro le élite, corredo classico dei populismi, è un filo nero che almeno da trent’anni riannoda i temi del rifiuto, del rigetto, della contrapposizione allo stato di cose esistenti. Se ad essere colpite sono state prima di tutte le classi dirigenti politiche, successivamente i bersagli sono divenuti coloro che svolgono un ruolo pubblico in qualche modo identificabile nelle stesse singole persone: tra di essi, i giornalisti (per definizione «servi del potere»), i medici (al servizio delle «multinazionali»), gli scienziati (propalatori di falsità e mistificazioni). Il tratto comune di tutti questi soggetti, accomunati dall’essere destinatari di astio e desiderio di rivalsa, è di costituire figure identificabili nella propria persona, a partire dal volto e dal nome. Un po’ come se all’indistinzione dei poteri, si potesse ora invece dare una fisionomia più certa, identificando le categorie dei “colpevoli”, da passare in rassegna e bersagliare con i propri strali. Un anticapitalismo miserando, un alternativismo straccione e caciarone, una logica da mandria di buoi, che scambia lucciole per lanterne, per poi rinnovare il convincimento che le proprie illusioni siano invece liberazioni, ripete ossessivamente alcuni falsi assiomi che, per il fatto stesso di essere trasmessi di bocca in bocca, sarebbero di per sé veritieri. Creando una specie di reciprocità solidale tra coloro che dichiarano infondata la realtà medesima (alla quale viene sostituito un mondo di incantesimi). Non è una modalità di troppo diversa da quella che vige nella comunicazione propagandistica e in quella pubblicitaria, a ben pensarci. I ribelli al vaccino e alle certificazioni, sono comunque figli del nostro tempo. Tornare ad indagare su di esso, sulla sua non linearità, sugli infiniti anfratti dell’irragionevolezza, vuole dire capire quali siano le cifre contraddittorie del tempo che stiamo vivendo e condividendo.
Claudio Vercelli