Segnalibro – Alla fine lui muore
Con Olocaustico, il suo romanzo d’esordio, aveva messo l’ironia al servizio di una Memoria consapevole e antiretorica. In Alla fine lui muore, il suo nuovo libro, il regista romano Alberto Caviglia si cimenta con un’altra sfida: raccontare una generazione, quella dei trentenni cui lui stesso appartiene, spesso in crisi di identità e prospettive.
Protagonista del romanzo, pubblicato come il primo da Giuntina, è Duccio Contini: un giovane scrittore il cui esordio è stato bagnato dal successo ma che ora vive in un malinconico anonimato. Tra gli scaffali della Feltrinelli di Largo Argentina la sua opera è ormai scomparsa e grandi idee per rilanciarsi non sembrano all’ordine del giorno. La scrittura si è fatta nel frattempo faticosa e infruttuosa.
Duccio ha 30 anni ma se ne sente addosso almeno il doppio. Sullo sfondo una famiglia emotivamente instabile, dedita tra i vari passatempi all’uso selvaggio e demenziale dei social network. Il risultato è un’alienazione sempre più profonda.
Meno accentuato rispetto ad Olocaustico ma comunque presente un milieu ebraico che caratterizza la personalità del fuori posto Contini; alienato al punto da guadagnarsi sul campo i galloni di “umarell”: termine bolognese che qualifica quelle figure tipiche del paesaggio urbano che spesso sostano per ore, sfaccendate, all’esterno dei cantieri.
Serve un’uscita in grande stile, un esito implacabile, per riportare l’attenzione su di sé. “Funeral Party”: un atto estremo contro l’oblio. Tutto è ormai pronto quando un incontro inatteso lo porta a prendere, per sua fortuna, altre strade. Torna, con Agata, la voglia di mettersi in gioco.
Lieto fine? Neanche per sogno. Ma, vanga in mano, resta sempre una seconda possibilità.
a.s twitter @asmulevichmoked
(14 novembre 2021)