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La famiglia di piazza Stamira

La storia di una famiglia ebraica anconetana, i Sacerdoti, alla dura prova del Novecento. Quattro diverse prospettive, ma un comune intreccio di vite, sogni, speranze. C’è tutto questo al centro del nuovo libro di Marco Cavallarin, studioso di ebraismo e documentarista. La famiglia di piazza Stamira è un libro affascinante, corredato anche da numerose immagini. Memoria viva, lungo i decenni del “secolo breve” e le sue scelte complesse.

I principali protagonisti di questa storia, in ordine di anzianità, sono: Sara Sacerdoti, Ashkelon; Enzo Sacerdoti, Ancona; Vittorio Emanuele Sacerdoti, Roma; Cesarina Sacerdoti, Milano.
Sara Sacerdoti Castelbolognesi, nata ad Ancona nel 1909, la prima figlia. Gentile, accogliente, radiosa, fa aliyah per amore di Nello, emigrata in Israele per amore del sogno sionista coltivato sì, ma vissuto e condiviso contraddittoriamente. Nulla è stato facile per lei da quando ha lasciato Ancona, eppure ha conservato sempre ottimismo e energia per la vita. La più longeva, salda nella conservazione del ricordo, al festeggiamento del suo centesimo compleanno, a Ashkelon, ci ha intrattenuto cantando Bella ciao.
Enzo Sacerdoti, nato a Ferrara nel 1912, fu uno scavezzacollo, pieno di vitalità, di forza fisica e mentale, sempre giocoso, il più burlone di tutti, amici e parenti. Seppe però essere la guida e il riferimento della famiglia nei momenti più difficili, come quando il pericolo della persecuzione antiebraica era massimo; come quando, da partigiano, portava con sé i genitori, per i quali cercava e trovava rifugi sicuri; come quando non esitò ad affrontare pericoli inimmaginabili per trarre i genitori in salvo dal rischio della cattura e della deportazione.
Vittorio Emanuele Sacerdoti, nato a Roma nel 1915, medico, fu uomo d’altri tempi: colto, amante della montagna, esploratore di vie alpinistiche, appassionato di archeologia, soprattutto etrusca, di bontà tale da essere amatissimo dai suoi pazienti, ricchissimo di amicizie, sereno nel giudizio, impegnato nella Resistenza per quanto poté, e non fu poco, poeta dilettante, narratore e scrittore provetto di favole e racconti di montagna, orgoglioso della sua laicità anche quando, negli ultimi anni della vita, affacciandosi al balcone della sua casa di via Catalana 1, a Roma, al centro del Ghetto, impartiva la berachà al popolo. Fu legato alla famiglia in maniera appassionata e mai bacchettona (usavano tutti darsi del tu, dai nonni ai nipoti, in tempi in cui il “voi” era d’obbligo). Fu rifugiato e nascosto sotto falso nome all’Ospedale Fatebenefratelli nei tempi della persecuzione razziale: risultava barelliere, ma faceva il medico a tempo pieno.
Cesarina Sacerdoti Ottolenghi, nata a Modena nel 1917, mi è stata suocera, quasi madre. Forse la più fragile e introversa dei quattro fratelli; ma anche lei aveva una gran voglia di ridere, perfino nelle situazioni più scabrose. Il suo punto di vista sapeva tingersi di ironia, a volte di incoscienza, per ritrovare forza. Incapace di nascondere sentimenti e turbamenti.
Di belle letture, sorridente, sportiva, avventurosa, amante della musica, estrosa nei colori, appassionata della vita, curiosa, abile bridgista, attenta fotografa della famiglia e dei rapporti amicali, di buon gusto e buone ricette. Vedova precoce, il marito Elio l’aveva lasciata all’improvviso. La sera prima di morire ha voluto salutarci, me e sua figlia Patrizia, e questa è una cosa che non dimenticheremo.
C’è poi uno stuolo di cugine, cugini e parenti di quella stessa generazione, di gradi più o meno prossimi, sorelle e fratelli donati da una vita fatta di incontri e forti legami. Solo di alcuni di questi abbiamo raccolto le parole, illusi di una fallace certezza di eternità.

Marco Cavallarin – La famiglia di piazza Stamira (ed. Affinità Elettive)

(15 novembre 2021)