Un dolore da fare nostro
Mi è capitato per le mani, quasi per caso, il libro di Herbert Avraham Arbib, Cielo Nero (Salomone Belforte), che ripercorre vita e cacciata degli ebrei libici. Mi son chiesto perché da noi si sia parlato così poco degli ebrei cacciati dalla Libia – e dagli altri paesi arabi. Eravamo certamente troppo presi dalla ben più grande tragedia che avevamo subito in Europa, la Shoah. Ma le tragedie, come più volte ho pensato e scritto, non si contrappesano e non si elidono fra di loro.
Ripercorrere e condividere emotivamente il dramma di chi è stato costretto a lasciarsi alle spalle una vita di affetti e di tradizioni, la casa e gli oggetti della quotidianità, i luoghi e tempi di intere esistenze, e le stesse tombe dei propri familiari, lascia in chi legge un senso di strazio senza fine. Ti ritorna alla mente l’immane tragedia della cacciata dalla Spagna. Pensare alle famiglie che hanno dovuto ricostruirsi una vita ripartendo da zero, riambientarsi e reinserirsi, e dopo decenni si ritrovano magari ancora ai margini lo si sente come un peso insostenibile e una incomprensibile ingiustizia.
La cacciata degli ebrei della Libia, tuttavia, non ha trovato molto spazio riconosciuto e condiviso fra le cronache dei nostri patimenti. Se ne sentono voci ed echi qua e là in occasione di rivendicazioni, ma sembra sia calato il silenzio sulla morte dell’anima che ha colpito tante persone, tante famiglie, un intero popolo.
Giusto che se ne parli, allora. Giusto che facciamo nostro, finalmente, il loro dolore.
Dario Calimani
(16 novembre 2021)