La seconda volta
Nel 2004 e 2005 a Gerusalemme raggiunsi Greta Klingsberg che a Theresienstadt interpretò Aninka nell’operina Brundibár di Hans Krása; fu colà trasferita 13enne con sua sorella gemella Trude.
Greta aveva partecipato a numerose rappresentazioni del Brundibár; era presente quando i funzionari della Croce Rossa Internazionale visitarono il Campo nel giugno 1944.
Pochi giorni prima, l’autorità tedesca “risolse” i problemi di sovraffollamento smistando altrove i deportati in eccesso; in seguito, Greta e i ragazzi di Theresienstadt furono trasferiti a Birkenau, lei fu condotta al lavoro coatto mentre la sorella Trude – come scoprì dopo – fu condotta a gasazione.
La prima volta che chiesi a Greta di ricordare canzoni inedite o filastrocche create a Theresienstadt, andai a scontrarmi con i suoi “non ricordo”; l’anno dopo cambiai tattica.
Bastò sedersi verso il crepuscolo al tavolone di legno del suo giardino nel quartiere Arnona, mangiare della frutta e bere succo d’arancia; la memoria tornò, freschissima e ricca di musica.
A Gerusalemme mi recai due volte a German Colony per incontrare la pianista austriaca Edith Steiner Kraus; Edith mi parlò a lungo del grande Viktor Ullmann, del quale eseguì a Theresienstadt la prima assoluta della VI. Klaviersonate, replicandola sino a 11 volte.
Nata a Vienna nel 1913, Edith Kraus debuttò a nove anni suonando un Concerto per pianoforte e orchestra di W.A. Mozart; dopo la Guerra si trasferì in Israele, registrò le sette Sonate di Ullmann.
Incontrai Edith la prima volta nel 2004 con la ricercatrice Lena Makarova (entrambe nella foto); tre anni dopo la incontrai nuovamente ma aveva perso la vista, la assisteva una badante eritrea.
Con occhi dell’anima che guardavano altrove, mi raccontò le storie musicali più belle accadute a Theresienstadt; alla fine le strinsi forte le mani, ossute e affusolate.
Mani di pianisti si riconobbero l’una nell’altra; Edith morì centenaria nel settembre 2013.
In una lussuosa casa di riposo di Rishon Le-Tzion incontrai il musicista ceco Uri Spitzer; aveva una storia particolare alle spalle, me la raccontò con calma in un caldo pomeriggio estivo.
Nel dicembre 1939 circa 4.000 ebrei austriaci, cechi e del corridoio di Danzica ottennero dall’autorità tedesca il permesso di espatrio e confluirono a Bratislava con la speranza di guadagnare la Palestina Mandataria Britannica via Danubio, Mar Nero, Mediterraneo; alloggiati presso il Patronka Hostel e lo Slobodarna Hostel, erano sotto il controllo del corpo paramilitare fascista slovacco Hlinkova garda.
Presso lo Slobodarna Hostel gli ospiti crearono l’omonimo inno, Uri era tra gli ospiti; nell’agosto 1940 furono imbarcati su quattro cargo diretti a Tulcea (delta del Mar Nero) e ridistribuiti sulle navi Pacific, Milos e Atlantic che presero il largo raggiungendo Haifa il 24 novembre 1940.
Quando incontrai Uri qualche anno prima con Lena Makarova, stentò a ricordare i primi due versi dell’inno; era bloccato, non c’era verso di fargli tornare la memoria.
La seconda volta che lo incontrai ero insieme al regista Ermanno Felli con tanto di telecamera, lo intervistai e alla fine gli feci credere di aver spento la telecamera; in realtà, Ermanno la lasciò accesa.
A quel punto Uri si rilassò, cominciammo a scherzare, stappai la bottiglia di buon vino del Golan che gli avevo portato; bevemmo quanto basta e a quel punto tentai l’affondo.
Gli chiesi a bruciapelo dell’inno Slobodarna Hostel; Uri me lo cantò tutto d’un fiato, senza un attimo di esitazione, con le strofe complete e il ritornello.
Cos’hanno in comune queste storie, oltre al fatto che trattasi di sopravvissuti? La seconda volta.
Dal Libro di Devarim (Deuteronomio) alla piccola Pasqua un mese dopo la prima (Pesach shenì) sino al secondo mese di Adar nell’anno embolismico e alla piccola Amidà (Magen Avot) ripetuta la sera del venerdì per chi si attarda in sinagoga (uso dell’est Europa), l’ebraismo è impregnato del concetto di recupero, possibilità concessa al ritardatario, correzione per chi sulle prime non intende.
Occorre sempre riprovarci, ritentare, magari con qualche espediente e approccio diverso dalla prima volta; novelle Massa e Meriba, buona parte di queste musiche sono sgorgate come fontane dopo aver nuovamente battuto la parte più rocciosa dei ricordi del sopravvissuto.
Il segreto – che sia una canzone o un ultimo sorriso – risiede nella seconda volta.
Nulla è unico, tutto è replicabile; nella replica si nasconde la Bellezza di questa musica.
Francesco Lotoro
(17 novembre 2021)