Monica Lewinsky,
lo scandalo del pregiudizio
“Immagina di svegliarti e tutto il mondo sta parlando di te perché il tuo mistero, il tuo segreto è diventato pubblico. Credimi, ne so qualcosa…”.
Così Monica Lewinsky, protagonista suo malgrado di uno degli scandali più celebri degli anni Novanta e oggi in prima linea contro il cyberbullismo. Nessuno meglio di lei conosce lo stigma della cancel culture e la gogna mediatica che i social hanno ormai promosso all’uso quotidiano. A poco più di vent’anni è stata la “paziente zero”, come lei stessa si definisce nel documentario di cui ha scelto di farsi voce narrante: 15 Minutes of Shame (15 minuti di vergogna), dedicato alle vicende di uomini e donne finiti per un errore nel mirino dei social media e ritrovatisi con la reputazione a pezzi. Se del “segreto” di Lewinsky si sanno anche i dettagli più imbarazzanti e di quella storia non si è mai smesso di parlare, l’aspetto che ancora tende a passare sotto silenzio è la sua identità ebraica – quanto meno sui media mainstream perché online i veleni antisemiti si sono sprecati fin dal principio. Nemmeno la nuova serie Impeachment in onda su Fox, dedicata allo scandalo che ha rischiato di mandare all’aria la presidenza Clinton, è riuscito a riportare l’argomento di attualità. Malgrado Monica Lewinsky sia nell’elenco dei produttori e a interpretarla sia l’amica attrice Beanie Feldstein, come lei ebrea di Los Angeles che non ha mai fatto mistero della sua appartenenza e a breve sarà a Broadway nel ruolo più ebraico che ci sia – la Funny Girl che ha già reso famosa Barbra Streisand. Eppure, fin dalle prime battute dell’affaire Clinton il background ebraico di Lewinsky era finito su tutte le prime pagine, con tanto di foto che la ritraevano al bar mitzvah del fratello insieme al padre in talled e kippah. E lei stessa negli anni si era più volte dichiarata legata alle sue radici e all’ebraismo. C’è dunque da interrogarsi sulle ragioni di questo silenzio – tanto più notevole perché è l’unico che riguardi la sua vita. Alla luce delle volgarità e delle perfidie messe in campo, è difficile immaginare un elemento di rispetto, se non di pura facciata. A rileggere le cronache saltano invece all’occhio altri elementi che, come nota Eliyah Smith su Forward, sembrano piuttosto risalire a un atteggiamento di diffidenza e fastidio nei confronti del mondo ebraico. Lewinsky non è solo vittima del sessismo e della misoginia dei media che in quegli anni devasta le vite di altri personaggi famosi (tra i più noti, Paris Hilton e Britney Spears) oltre che del crudele ostracismo comminatole dal clan Clinton. Nel suo caso entra in gioco il veleno del più puro pregiudizio, scrive Smith. “Nelle mani della stampa, degli investigatori, del pubblico americano e di chiunque abbia fatto dello scandalo una storia, Monica è diventata la classica caricatura antisemita della donna ebrea”. Nell’immagine che ne viene data, il tema del desiderio inappropriato e smodato, l’ingordigia, il consumismo, l’ossessione dello status, le ambizioni sociali e la mancanza di gusto si intrecciano in un mix crudele. E una componente cruciale, sottolinea Smith, ha a che fare con la sua incapacità a ottenere quello che desidera. “È questo che rende Monica così patetica, e così archetipicamente ebrea. Il suo peccato cardinale non è stato solo volere essere alla moda, popolare, ricca, ben vestita e famosa; è stato non riuscire a ottenere queste qualità”. Non c’è niente di ebraico in tutta questa storia ed è inutile sottolinearlo. A guardarla oggi, una quarantenne elegante e radiosa, non si può però fare di meno di chiedersi dove abbia trovato la forza di superare quella spaventosa bufera di veleni. E non si può fare a meno di pensare a una qualità, questa sì profondamente ebraica – la resilienza.
Daniela Gross
(17 novembre 2021)