Ticketless – Piazza Stamira

Di tutte le città-porto d’Italia, dove fiorirono vivaci comunità, Ancona è la meno studiata, ancorché sia carica di memorie ebraiche al pari di Livorno, Trieste, Venezia. Chissà mai se nella sinagoga di Ancona si conserva ancora la splendida cortina di quelle da appendersi all’arca che racchiude i rotoli della Legge, nel centro della quale un’iscrizione a caratteri ebraici informa che nel 1630 Leone Montefiore donò questo lavoro di sottile e ingegnosa arte femminile, ricamato dalla moglie di lui Rachele. E chissà mai se, ad un passo dalla sinagoga, nella frazione di Fermo, la borgata Montefiore, si mantiene il ricordo di aver dato radice a una delle più antiche famiglie dell’ebraismo europeo. Nel 1758 nacque sir Moses Montefiore, il filantropo, che s’impegnò alla redenzione materiale e morale di tanta parte degli Ebrei d’Oriente, massime della Siria e del Marocco. Sempre a Londra, nel 1858, nasce il pronipote, Claudio Goldsmith Montefiore. Storico e teologo, fonderà una rivista di grande fortuna, «The Jewish Quaterly Review», pubblicherà una Bibbia «come lettura domestica» (The Bible for home reading, 1896) e una traduzione inglese dei Salmi (1902) che ebbe grande diffusione.
Questa settimana ho letto un libro di memorie commoventi, ricco di documenti di famiglia, ma soprattutto intriso di un forte e ammirevole senso di pietas (Marco Cavallarin, “La famiglia di piazza Stamira. Una famiglia ebraica anconetana nei fatti del Novecento”, Affinità elettive, 2021). Il toponino Ancona, per una piccola porzione, appartiene anche alla storia della mia famiglia, almeno al ramo che da Ancona si stabilì a Trieste. Forse per questo mi sono avvicinato con simpatia a queste pagine.
Come tutti i precedenti lavori di questo autore, i fatti e i documenti s’intrecciano con i ricordi di famiglia e le immagini. La saga della famiglia anconetana Sacerdoti è il fulcro intorno al quale ruota la grande Storia: il fascismo, le leggi del 1938, la Resistenza e il sionismo. Sara fa l’aliyah, Enzo entra nella lotta partigiana, Vittorio è medico nella clandestinità, Cesarina sfugge per miracolo all’eccidio di Meina sulle sponde del lago Maggiore. Cavallarin ricostruisce con precisione quattro storie di vita, lo fa con mano leggera, stile asciutto, un filo di sana ironia per contrastare i paradossi e talvolta anche le contraddizioni della memoria. Un esempio riuscito di come si possa fare un uso virtuoso di un baule carico di carte e di istantanee commoventi.

Alberto Cavaglion

(17 novembre 2021)