Abitare le tenebre

Bookcity, la rilevante rassegna culturale offerta dalla città di Milano ogni novembre, è stata l’occasione per presentare la traduzione italiana della testimonianza di Fred Sedel, Abitare le tenebre (L’Ornitorinco 2021), che si pregia della prefazione di Liliana Segre ed è corredata da un’importante postfazione di Stefano Rolando. Si tratta di un testo significativo da molteplici punti di vista. Sedel (al secolo Alfred Szejdel, ebreo polacco emigrato dalla Galizia in Francia per sottrarsi alle persecuzioni di inizio Novecento) era un affermato medico quando a 33 anni nel 1943 venne arrestato dalle SS e rinchiuso nel campo di Drancy. Da lì inizierà la sua epopea attraverso sette campi di concentramento e di sterminio: Auschwitz, Jaworzno, Birkenau, Oranienburg, Sachsenhausen, Landsberg e Kauering. Il suo libro/testimonianza è un buon esempio per ragionare sulla “storia” delle testimonianze sulla Shoah. Il sopravvissuto scrive note memorialistiche, ma le tiene in un cassetto, un po’ perché “la vita continua”, un po’ perché non ci sono orecchie disposte ad ascoltare. Poi pubblica la sua memoria una prima volta nel 1963, e la ripropone alla fine degli anni ’80. Un testo che viene accolto da una società rinnovata, che inizia a fare i conti con i mostri del passato. Ci sono alcuni elementi fondamentali in questo testo che mi spingono a suggerirne la lettura. Innanzitutto, la figura di Sedel. Si tratta di un medico che sopravvive all’orrore grazie alle sue conoscenze linguistiche (come moltissimi ebrei del Novecento ne dominava diverse) e grazie anche alla sua professione. Il suo sguardo è attento. Osserva le persone e i loro comportamenti di umani deumanizzati, descrive corpi e sensazioni, utilizzando un registro linguistico semplice e poco propenso alla commiserazione. A volte, al contrario, si permette digressioni ironiche. Il secondo elemento di rilievo, a mio giudizio, è offerto dalla suddivisione in capitoli e dalla loro denominazione. Si tratta di un vero e proprio glossario della persecuzione, un thesaurus: arresto, prigione, attesa, disinfezione, infermeria, viaggio, delazione sono solo alcuni dei concetti su cui si fonda la riflessione memorialistica del dottor Sedel, e a ben vedere si tratta di elementi ben presenti purtroppo anche nella nostra contemporaneità. Il che rende quel testo uno strumento importante anche per ragionare sul presente e sul futuro delle umanità perseguitate. Il terzo punto che metterei a tema è l’oggetto/libro nella sua versione italiana. La traduzione dal francese, infatti, è stata condotta da giovani studentesse del primo anno della magistrale della Scuola Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli” di Milano. Andrea Amiotti, Greta Caseti, Ilaria Consonni e Ilaria Melzi, sotto la guida della professoressa Fabrizia Parini, si sono cimentate nell’interpretazione della lingua di un testimone della Shoah restituendocela in italiano attraverso la loro conoscenza e la loro sensibilità. Ne è uscito un testo affascinante, che si legge molto bene, e che è il frutto di un incontro intergenerazionale di cui c’è assoluta necessità se vogliamo che la riflessione sulla memoria dello sterminio costituisca una solida base per il futuro della nostra convivenza civile e non sia relegata a mera storia da studiare.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC