Casi isolati o timidi inizi
di un cambiamento?

Nel neoeletto Consiglio dell’UCEI le donne sono poco più di un quarto, 14 su 52; una sola donna tra i dieci Consiglieri eletti a Milano e quattro nominate o elette dalle 19 Comunità medie e piccole (ma tre di queste quattro dispongono di solo mezzo voto, quindi sarebbe più corretto dire che sono 2,5 su 15); va un po’ meglio solo a Roma (nove elette su venti). Nella Giunta sono presenti tre donne su nove. Le Comunità ebraiche guidate da donne sono sei su 21, meno di un terzo.
Letti da soli senza fare confronti con altri contesti non sembrerebbero numeri particolarmente esaltanti. Eppure nella stampa nazionale l’ebraismo italiano è presentato come un buon esempio, come “civilissima lezione all’intera società italiana sul terreno della conquista delle leve di comando da parte delle donne”. Complimenti effettivamente meritati dal momento che nella società italiana in generale va ancora peggio che da noi. E se non altro abbiamo due donne Presidenti dell’Unione e della Comunità ebraica più numerosa. Meglio che niente.
Purché i complimenti non ci portino a sedere sugli allori e a pensare che il problema della rappresentanza femminile per noi non esista più. Una donna al comando in un contesto che rimane a forte prevalenza maschile non è necessariamente un primo passo verso qualcosa di più. Israele ha avuto la prima donna premier prima di qualunque Paese europeo, ma poi non ne ha più avuta una seconda. La Comunità ebraica di Torino ha avuto un’unica Presidente, e ogni tanto qualcuno cerca di convincermi che se dopo di lei non ce ne sono state altre è una pura coincidenza. Quando un problema non si vede nemmeno è segno che è stato rimosso, non che è stato risolto.
Scrivo queste riflessioni alla vigilia di Shabbat Vaishlach, la parashà del mio bat mitzvà, il primo a Torino celebrato da sola nello Shabbat successivo al mio dodicesimo compleanno anziché in gruppo alla domenica come si usava fino a quel momento: una piccola conquista di autonomia e di non eccessiva differenziazione rispetto ai maschi. Fortunatamente non sono rimasta l’unica: non sempre i cambiamenti sono impossibili, anche quando si tratta di andare contro usanze e abitudini consolidate. Una piccola consolazione che spero possa essere di buon augurio.

Anna Segre