“La pandemia ha cambiato l’idea di casa e così ho scelto di trasferirmi a Berlino”
La scelta di Etgar Keret per il suo trasferimento momentaneo lontano da Tel Aviv era tra Milano e Berlino. “Cercavamo una sistemazione con opportunità e soprattutto con ottime scuole in inglese per mio figlio. Per cui avevamo ridotto la scelta a queste due città”, spiega a Pagine Ebraiche Keret. Alla fine ha vinto la capitale tedesca “perché al momento è più economica. E anche gli amici milanesi hanno approvato la mia scelta”. Amici milanesi che lo scrittore israeliano, molto amato dal pubblico italiano, ritrova in queste ore proprio nella città che avrebbe potuto essere la sua nuova casa. All’ombra del Castello sforzesco, Keret è infatti, su iniziativa della Fondazione Cdec, uno dei protagonisti della decima edizione di BookCity Milano e della Rassegna Nuovo Cinema Ebraico e Israeliano (20-24 novembre). Un’opportunità per lo scrittore per presentare, in dialogo con Sara Ferrari, il suo cortometraggio Outside, creato lo scorso anno assieme alla coreografa Inbal Pinto. Una pellicola che rappresenta una ironica riflessione sul tempo della pandemia e sul concetto di casa, spazio, libertà, ritorno alla vita. Temi su cui Keret si sofferma con Pagine Ebraiche. “L’idea di casa è sempre stata al centro della mia vita. Entrambi i miei genitori sono sopravvissuti alla Shoah. E il concetto di casa, di essere al sicuro, di stare insieme sono per noi cruciali”. Per lui, aggiunge, in particolare. “Ho cambiato solo quattro appartamenti nel corso della mia vita e non mi sono mai trasferito oltre a un raggio di cinque chilometri”. Un raggio conosciuto, in cui sentirsi protetti, in cui tutto è noto. “La pandemia ha però incrinato questa visione monolitica della casa. Cominci a porti delle domande: cosa è veramente casa? È il tuo appartamento? La tua famiglia? Il mio quartiere e i miei vicini?”. E così l’appartamento in cui hai vissuto trent’anni viene messo in discussione, così come l’idea di abitarci. “Non avevo mai pensato di trasferirmi. Vivo nello stesso appartamento da quanto avevo 23 anni. Ho sempre cercato di non fare grandi cambiamenti”. Ma la pandemia ha cambiato questo registro. E soprattutto, spiega Keret, la spinta del figlio. E soprattutto, spiega Keret, la spinta del figlio. “È venuto da me ad un certo punto e mi ha detto che sentiva che la vita aveva smesso di essere una sfida. Mi ha detto: ‘sai io non voglio ristagnare, voglio essere sfidato. Voglio integrarmi in un’altra società, incontrare ragazzi di religioni diverse e parlare una lingua diversa. Perché non andiamo via per un anno’. E così ha risvegliato in me una sensazione analoga”. Il desiderio di mettere tutto in discussione, di guardare il mondo da un’altra prospettiva, di chiamare casa un altro luogo. Ed è arrivato il trasferimento a Berlino, il confronto con il tedesco, la riflessione sulla lingua ebraica. Temi sviluppati da Keret nella prossima grande intervista di Pagine Ebraiche.