Machshevet Israel
A cent’anni dalla “Stella”

Sì, un altro anniversario, e la “Stella”, per chi studia pensiero ebraico non solo in lingua ebraica, è Der Stern der Erlösung ossia La stella della redenzione, che il filosofo ebreo tedesco Franz Rosenzweig (Kassel 1986-Francoforte 1929) pubblicò con una piccola casa editrice ebraica nel 1921. In italiano essa circola solo dal 1985 grazie alla traduzione di Gianfranco Bonola, edita da Marietti (allora in Casale Monferrato, 460 pagine complessive), il cui saggio introduttivo è ancora oggi uno studio fondamentale per comprendere e collocare storicamente non solo quest’opera ma anche il suo autore. La filosofia ebraica del Novecento non sarebbe quella che è senza Rosenzweig (e il suo maestro Hermann Cohen).
Un manipolo in principio si accorse di quest’opera dalla complessa architettura fuori dai canoni. Nel 1930 uscì una seconda edizione, presentando la quale Gershom Scholem scrisse: “Dalla comparsa della Guida dei perplessi o dello Zohar, poche opere sono state altrettanto provocanti”. Ma solo con il passare dei decenni, essa fu riconosciuta come vero spartiacque, una Kehre o svolta per la filosofia e la teologia del nuovo secolo. Prima di Martin Buber, che nel ’23 pubblicherà il manifesto della filosofia relazionale e dialogica, Ich und Du, “Io e tu”; e soprattutto prima di Martin Heidegger, che nel ’27 darà alle stampe Sein und Zeit, “Essere e tempo”, criptico proclama di un esistenzialismo ontologico senza il quale non si comprendono gli sviluppi ermeneutico-politici della seconda metà del XX secolo; prima di loro c’era Rosenzweig e la sua Stella, la cui Urzelle o cellula germinale risale alla fine del ‘17, ultimo anno del conflitto mondiale e inizio della spagnola, due eventi che hanno resettato ambiguità, illusioni e ipocrisie ideologiche del diciannovesimo secolo.
Secondo la narrativa agiografica la Stella venne scritta su cartoline postali spedite a casa dal fronte dei Balcani, dove Rosenzweig era di stanza con la divisa militare degli imperi centrali destinati al collasso. In realtà quest’opera affonda le sue intuizioni non solo nella grande guerra ma anche nelle solenni feste ebraiche del 1913, quando, ebreo assimiliato, Rosenzweig riscopre in una piccola sinagoga ortodossa le proprie radici e si ferma dal passo della conversione al cristianeismo (già compiuto dai cugini Ehrenberg e dall’amico Eugen Rosenstock). Egli diventa così un ba‘al teshuvà, uno che ‘ritorna all’ebraismo’ scoprendo in esso la possibilità di ripensare il mondo, e Dio e l’umanità, in modo alternativo rispetto all’ossessione totalitaria dello storicismo hegeliano. Quasi ebraicizzando Kierkegaard, Rosenzweig recupera il primato dell’individuo sulla ragion di stato, ma anche del particolare e dell’etnico sull’universale astratto, dell’etico sul metafisico, della vita sulla retorica del sacrificio e della morte. Getta così le basi per un’arcata teoretica che verrà completata, quarant’anni dopo, da un altro grande filosofo ebreo, Emmanuel Levinas, in Totalità e infinito del 1961. Dirompente nel linguaggio e non solo nell’approccio esistenziale, la Stella si è rivelata nel tempo una miniera inesauribile di stimoli e di sviluppi sia in ambito ebraico (Buber, Scholem e Levinas a parte, si pensi a Steven Schwarzschild negli Usa o in Israele a Rivka Horwitz dell’università Ben Gurion; a Stéphane Mosès dell’università ebraica – dove esiste da decenni un “Centro Franz Rosenzweig” – o a Ephraim Meir dell’università Bar Ilan), sia nell’ambito generale della filosofia della religione (in Italia soprattutto nel mondo cattolico; tra l’altro l’edizione italiana, esauritasi, è stata riedita nel 2005 da Vita e Pensiero).
Quale la chiave del successo di un libro così complesso, tutt’altro che accessibile senza strumenti filosofici ed ebraici, e di un autore per molti versi così inattuale? Il suo ‘ritorno a casa’ fu essenzialmente un riappropriarsi delle fonti ebraiche, dalla Bibbia al pensiero dei maestri medievali, ma solo indirettamente al Talmud. Inoltre, nel solco di Cohen e diversamente da Buber, non fu affatto sensibile al sionismo. Legittimo chiedersi: la Stella è un libro di filosofia o di teologia (o di teologia mistica, come disse Scholem)? Può dirsi un libro ebraico o, sotto sotto, resta un progetto hegeliano ossia cristianeggiante? Non è facile dare risposte. Il fatto che studiosi di fedi e scuole diverse trovino tutti qualcosa in cui riconoscersi, qualche insight confacente ai propri percorsi, la dice lunga sulla complessità di Rosenzweig. Nel mondo ebraico è certamente in corso un recupero di questo autore, che a Francoforte fondò un Lehrhaus di studi ebraici, via di mezzo tra una yeshivà e un’aula d’università, per stimolare gli ebrei tedeschi a tornare alla lingua ebraica e ai classici del giudaismo. Solo un paio d’anni prima, nel ‘19, era apparsa postuma l’opera di Hermann Cohen La religione della ragione dalle fonti dell’ebraismo, summa della simbiosi ebraico-tedesca. I lumi ottocenteschi da cui essa era sorta si erano appena spenti tra le inutili stragi nelle trincee, e dopo un’immane pandemia, nel desiderio di un’alba nuova, di una redenzione sociale che stava però già portando in grembo anche falsi profeti, al pari di nuovi tiranni. Della sete, anzi della nostalgia di quella redenzione si fece eco Rosenzweig. Forse sta qui il sod ossia il segreto del fascino della sua Stella.

Massimo Giuliani, università di Trento

(25 novembre 2021)