La conferenza stampa in Senato
“Esodo dai Paesi arabi e dall’Iran,
colmiamo il vuoto di conoscenza”
Dal 2014 lo Stato d’Israele, ogni 30 novembre, celebra la giornata nazionale dei rifugiati ebrei dai Paesi arabi e dall’Iran. Una vicenda di cui, lontano da Gerusalemme, in genere molto poco si sa e scrive. Perlomeno con la dovuta consapevolezza.
”È invece qualcosa che dobbiamo ricordare, anche in Italia”. Così il senatore Lucio Malan, presidente dell’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele, nel dare avvio a una conferenza stampa dedicata svoltasi quest’oggi a Palazzo Madama con l’intervento dell’ambasciatore israeliano Dror Eydar, della presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, del presidente Comitato accademico europeo per la lotta all’antisemitismo David Meghnagi e del consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Saul Meghnagi. Presente in sala una delegazione del liceo ebraico Renzo Levi.
“Nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, vivevano nei Paesi arabi un milione di ebrei. Erano presenti in quelle regioni da circa 2500 anni, dai tempi dell’Esilio babilonese. Oggi non ne restano che poche migliaia”, ha evidenziato l’ambasciatore nel suo intervento. “Profughi – ha poi aggiunto – che nessuno ha aiutato fatta eccezione per Israele con le sue scarse forze da giovane Stato”.
Una storia da raccontare. E un fatto significativo su larga scala, secondo Eydar, “poiché non ha avuto effetti solo sulla composizione demografica della Nazione ebraica, ma anche su quella di tutto il Medio Oriente e del Nord Africa”. Una vicenda che lo riguarda da vicino essendo lui stesso figlio di due ebrei iraniani che nel 1950 decisero di fare l’Aliyah. “Quando sento slogan come ‘Morte a Israele e all’America’ benedico Dio per la scelta fatta dai miei genitori”, la testimonianza dell’ambasciatore. Negli Anni Cinquanta, ha poi ricordato, Israele era più povero e meno agiato dei Paesi arabi. L’ironia, la sua riflessione, “è che è stato proprio il fatto che abbiamo riabilitato i profughi ebrei, senza cercare aiuto finanziario o sostegno da un’agenzia di soccorso delle Nazioni Unite, a farli dimenticare (anche se erano quasi il doppio dei profughi palestinesi)”. Disturbava in questo senso “l’immagine politica che gli arabi e la dirigenza palestinese volevano dipingere: hanno preferito usare i rifugiati come armi contro Israele, dei poveri rifugiati sono sempre preferibili da fotografare rispetto a un Paese fiorente”.
La Comunità ebraica Roma è stata una delle realtà della Diaspora più sollecitata dai flussi migratori del secondo Novecento, in particolar modo dalla Libia. “Una pagina terribile che si è trasformata in un’occasione di rinascita e di rinvigorimento per la nostra stessa Comunità”, ha affermato Dureghello. “Non possiamo permettere – il suo messaggio – che questo esodo sia dimenticato. Era giusto fissare un momento puntuale di ricordo, anche per evidenziare come quell’esilio sia stato la causa di un impoverimento culturale di Paesi che oggi si rappresentano per quello che sono”. Gli ebrei del mondo arabo anche come primi testimoni diretti del fatto che “l’odio verso Israele è in realtà anche odio verso gli ebrei”. Un tema, quello dell’antisionismo nella sua chiara essenza antisemita, “che ancora oggi si dibatte con ambiguità”.
Da superare con urgenza un paradigma fuorviante. “Esiste una narrazione terzomondista che associa le vicende dell’esodo a quelle della nascita d’Israele. In realtà il processo di espulsione è iniziato molto prima”, ha fatto notare David Meghnagi. Una narrazione “incentrata sulla contrapposizione colonialismo/emancipazione ma che si dimentica di parlarci del colonialismo interno, degli ebrei come ‘dimmi’ con meno diritti e di fatto colonizzati dalla maggioranza islamica”. Per Meghnagi è essenziale “curare le parole malate su cui si basa il racconto del conflitto mediorientale, valorizzando anche un concetto: il mondo arabo ha tutto da guadagnare dall’esistenza di Israele”.
A trarre le conclusi della conferenza Saul Meghnagi. Nelle sue parole l’auspicio di un intervento più forte sul piano formativo e scolastico, specie in materia di educazione civica. “Bisognerebbe – il suo auspicio – che la riflessione storica non si limitasse all’Italia e all’Occidente ma includesse anche l’Oriente. Si affrontino in questo contesto anche le vicende di chi è stato cacciato”. Toccante una testimonianza condivisa con la platea: il passaporto di uno zio che godeva di una condizione “privilegiata” in virtù dei rapporti stretti con la casa reale (di cui era orafo). Malgrado ciò sul suo documento si trova una sorta di marchio ad uso interno che lo contraddistingue inequivocabilmente come ebreo. “Un marchio – ha concluso Meghnagi – che ciascun ebreo portava sempre con sé. Non dimentichiamo e continuiamo a batterci per giustizia e conoscenza”.
(Nelle immagini: un momento della conferenza in Senato; l’intervento dell’ambasciatore Eydar; il documento dello zio orafo di Saul Meghnagi, con il marchio identificativo della sua identità ebraica)
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(30 novembre 2021)