Una Memoria ingombrante

Siamo a Chanukkah e già si annuncia il Giorno della Memoria. Arrivano richieste e offerte, si propongono date e incontri. Questo giorno dura un mese, con decine e decine di appuntamenti, come se si cercasse di recuperare oltre ogni scadenza concepibile le reticenze e i silenzi di sessant’anni. L’istituzione internazionale del Giorno della Memoria, infatti, risale al 2005, voluto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Già quando la Memoria diventa rito obbligato perde molto del suo senso e del suo valore: davanti al monumento, una corona di fiori, un minuto di sentito silenzio, rapido e indolore, e il ricordo della tua famiglia sterminata, per il rito pubblico, si conclude lì.
Forse anche peggio è la successione incontrollata di manifestazioni e di eventi che saturano giornate e opprimono l’animo della gente. È vero che una compensazione al silenzio dei decenni ci voleva, è stata vera e motivata la necessità di sensibilizzare all’argomento chi non sapeva, chi non credeva, chi non ricordava, chi preferiva dimenticare o rimuovere, ma il recupero della memoria ha avuto le sue contropartite. Il fastidio degli insofferenti e di qualche non raro antisemita, la sensazione di prevaricazione che l’attenzione alla memoria della Shoah ha suscitato di fronte ad altre tragedie, l’insopportabile proposta di analogie fra la Shoah e ogni altri dramma grande e piccolo della storia recente, fino all’analogia scandalosa e insultante con il Green Pass dei nostri amari giorni. La memoria della Shoah è sempre più spesso usata per parlare d’altro, per sfuggire l’argomento in sé, che non interessa più. La Shoah è ormai un argomento utile solo per essere strumentalizzato. Una memoria abusata nel modo più bieco da chi non ama ricordare, per mera indifferenza o perché, braccio alzato nel saluto alla romana, solidarizza con l’altra parte, quella degli aguzzini e degli sterminatori.
I malintesi della Memoria sono plurimi, ed è questo che spinge a chiedersi quanto abbia fruttato e quanto abbia danneggiato la nostra vita e i modi della memoria questa sua istituzionalizzazione. Domanda retorica, naturalmente, che contiene la propria risposta, ma anche, in proporzioni variabili, il suo opposto.
Il recupero della memoria deve essere realizzato non dall’ebreo messo una volta di più, con imbarazzo, sul palcoscenico della storia, a raccontare, a dibattere, ad analizzare, ad analizzarsi, a denudarsi di fronte agli altri. Il recupero della memoria, se davvero lo si vuol perseguire, spetta agli altri, in prima persona, nel loro rivolgersi a un uditorio di altri.
Il malinteso maggiore è che la pratica della Memoria richieda di portare solidarietà alle vittime e ai loro discendenti in casa loro, come per un atto di contrizione, di confessione, di assurda e irricevibile richiesta di perdono.
La memoria deve invece indirizzare ed educare gli altri all’empatia. Se davvero si vuole che serva di monito ed esempio, la memoria deve esprimersi in un messaggio rivolto non all’ebreo, come segno di solidarietà o, peggio, di impacciata compassione. La memoria va insegnata a chi ebreo non è, per educare al rispetto, all’accettazione della differenza come norma, allo spirito di accoglienza e di umanità.
Una memoria ingombrante, il cui ruolo e il cui uso vanno ridefiniti e rimodulati.

Dario Calimani

(30 novembre 2021)