Il ruolo dell’Onu e l’amarezza
per il voto italiano

Nei giorni scorsi, per l’ennesima volta, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a maggioranza tre documenti di condanna nei confronti di Israele, legati alla politica di insediamento nei Territori e alla situazione sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio (odiosamente citato nei documenti ufficiali con la sola denominazione islamica al-Haram al-Sharif). Si tratta ormai di ordinaria amministrazione e il fatto non fa quasi più notizia. Eppure credo che occorra riflettere sulla condizione attuale dell’ONU, sullo status di Paese oppressivo e perennemente messo al bando che lo Stato ebraico ha indebitamente acquisito tra le nazioni e sul vulnus continuo che ne deriva per la sua linea politica e la sua stessa esistenza. Potremmo naturalmente disquisire sul contenuto delle tre risoluzioni in questione, arrivando probabilmente a ritenere l’atteggiamento israeliano sui tre temi discutibile e in parte criticabile. Esattamente come quello palestinese. Comunque giungeremmo alla conclusione che la responsabilità sulle situazioni esaminate non grava su una sola delle parti, che la ragione non è tutta dal lato di uno dei contendenti, che la mediazione e il compromesso sono la sola via per evitare il conflitto. Ma esaminare nel concreto l’oggetto del contendere non serve, perché da tempo tutto è stabilito prima di ogni discussione e di ogni votazione: Israele è sempre il solo responsabile di ogni problema nella zona mediorientale, è lo Stato canaglia che domina arbitrariamente e viola i diritti umani delle popolazioni palestinesi, che sono sempre vittime innocenti a priori, anche quando organizzate in strutture terroristiche accumulano missili con cui bersagliano i civili israeliani, sparano, accoltellano e investono in auto la popolazione ebraica, lanciano pietre contro i soldati di Tzahal. Purtroppo è così all’ONU ed e così per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica.
Ma cosa è divenuta l’Organizzazione delle Nazioni Unite? E cosa l’ ha portata a questa situazione? Nata come struttura mondiale sovranazionale per cercare risposte pacifiche costruttive e super partes ai conflitti tra Stati nazionali – per riportare condizioni di pace in aree del mondo tormentate da conflittualità endemiche o improvvise, essa ha fallito miseramente nella gran parte dei casi che si è trovata ad affrontare. Faccio solo un paio di esempi relativi alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, volutamente fuori dal clima della guerra fredda allora ormai tramontata. L’ONU non è riuscita ad evitare e neppure ad alleviare due tragedie del nostro tempo, come il conflitto tra Ruanda e Burundi con il contestuale sterminio della etnia tutsi, e come le stragi e le violenze serbe in Bosnia: è rimasta impotente a guardare, impossibilitata a muoversi con decisione/incapace di agire di fronte a veri e propri crimini contro l’ umanità.
Le ragioni di questa assenza? Certo, anche i limiti posti alla sua forza decisionale e alla prontezza della sua azione dal suo stesso carattere a priori non belligerante, dagli stessi documenti istitutivi, dalle regole di ingaggio leggere dei corpi militari impegnati sul campo. Ma anche, sempre più, una trasformazione evidente del senso e degli stessi obiettivi di fondo dell’ONU, e in particolare di molti degli Stati che ne fanno parte. Ormai la sua funzione di pronto intervento pacificatore o, se volete, di pompiere contro gli incendi devastanti nel mondo mi pare venuta completamente meno. Le Nazioni Unite sono diventate una vetrina di aspirazioni alla forza e al potere, una assise mondiale in cui affermare le proprie posizioni conquistando appoggi incondizionati e sistematiche condanne di Stati paria, anzi dell’unico Stato paria che è palesemente Israele. Insomma, l’ONU ha da tempo cessato di essere uno strumento di accordo e di pace, divenendo un formidabile strumento di politica estera e di controllo internazionale, un mezzo di offesa nei confronti del bersaglio politico n.1, un meccanismo di condanna che aiuta gli Stati arabi nemici di Israele più di una guerra vittoriosa. L’equidistanza e il dibattito politico imparziale, che dovrebbero essere caratteristica precipua di una istituzione mondiale super partes, sono di fatto inesistenti. Gli schieramenti sono del tutto predeterminati da parte di una netta maggioranza contraria per principio a Israele, a prescindere dalla situazione e dal problema che è sul tappeto: lo Stato ebraico ha il torto fondamentale di esistere e di voler continuare a vivere. La domanda può apparire paradossale, ma rebus sic stantibus che senso ha mantenere ancora in vita l’ istituzione, se non quello di continuare a offrire a tanti paesi dominanti e dittatoriali un mezzo di controllo e di ricatto?
Ciò che amareggia di più, di fronte all’ultima pronuncia su Israele dell’Assemblea generale, è il voto dell’Italia, che nonostante le motivate e chiare richieste di equilibrio da parte di un interlocutore oggi privilegiato come l’UCEI e la sua Presidente Noemi Di Segni ha appoggiato quasi del tutto le posizioni contrarie a Gerusalemme, a riprova del fatto che al di là delle tante proclamate manifestazioni di vicinanza e di sostegno – in una fase di allarmante crescita dell’antisemitismo a tutti i livelli – , continuano a contare di più i rapporti con la gran parte dei paesi arabi e col fronte economico-politico del Mediterraneo. Come ai tempi di Andreotti.
Come risponderebbe e anzi risponderà il Ministro degli Esteri Di Maio? Naturalmente dirà che l’ennesima inevitabile condanna di Israele da parte dell’ONU non ha niente a che vedere con l’antisemitismo. Peccato che anche il governo italiano abbia a ragion veduta sottoscritto la definizione I.H.R.A. di antisemitismo, la quale attribuisce all’anti-israelismo un ruolo centrale negli atteggiamenti e nelle politiche antiebraiche. Come la mettiamo allora, con questa evidente contraddizione?
In conclusione, a rendere più esacerbata l’amarezza di fondo, emerge ancora una volta e nonostante tutto la sensazione di essere soli di fronte al male che avanza e colpisce.
David Sorani