La distruzione del Tempio
Per poter comprendere se gli ebrei avessero potuto evitare la distruzione del Tempio è necessario comprende la figura di Flavio Giuseppe storico, perché è proprio lui in prima persona che racconta gli eventi. Le vicende ci vengono narrate nel libro “Guerra Giudaica”, vissute accanto a Tito proprio durante l’assedio; questo libro è stato stampato in due versioni: una in aramaico e una in greco. “Ho consegnato agli imperatori i libri che avevo scritto, quando i fatti che raccontavo erano quasi ancora sotto i nostri occhi: perché sapevo benissimo di aver detto la verità, e che non sarei stato smentito”. Sotto molti aspetti quindi la versione che ci tramanda Giuseppe Flavio è molto di parte, scritta da un uomo che all’inizio era un sacerdote ebreo a capo in Galilea di alcuni rivoltosi e, una volta catturato, passato tra le fila romane pur di aver salva la vita. Altre notizie storiche su questi fatti ci arrivano da alcune fonti antiche che non possono essere considerate precise quanto i resoconti del noto storico; tra queste sicuramente alcune notizie provengono da Nicola di Damasco, in particolare quelle necessarie per tratteggiare la figura del Re Erode il Grande. Nicola Damasco amico fidato, ambasciatore e consigliere del re Erode scrive nei libri Storie e nella autobiografia alcuni aspetti che Giuseppe Flavio utilizza per i suoi scritti. Per quel che riguarda invece la narrazione vera e propria della guerra, Giuseppe Flavio utilizza i propri ricordi vissuti e i Commentari di Vespasiano e Tito soprattutto per il quadro della dislocazione dell’esercito romano nelle diverse regioni dell’impero delineato nel discorso di Agrippa II, per i cenni sulla rivolta dei Celti e Germani, per gli sconfinamenti dei Sarmati e dei Daci nella Mesia, per la destituzione di Antioco di Commagene, per il racconto della conquista di Masada, per l’attività dei sicari in Egitto e Cirene e per il trionfo di Vespasiano e Tito a Roma nel quale, per ovvie ragioni, Giuseppe Flavio era assente. Altre fonti si sarebbero dovute prendere in considerazione se non fossero andate perdute. In particolare l’opera di Giusto di Tiberiade e Marco Antonio Giuliano: quest’ultimo fu uno storico che aveva partecipato al concilium convocato da Tito prima della distruzione del Tempio e purtroppo si è persa ogni traccia dei suoi scritti.
L’ultima domanda da porsi è se Tito avrebbe voluto conservare il Tempio e non distruggerlo o se questa sua buona intenzione la ricaviamo da Giuseppe Flavio che voleva metterlo in una buona luce. Infatti più volte durante la battaglia Tito cercò di arrivare a patti con gli ebrei per evitare morte e distruzione. Forse avrebbe voluto salvare il Tempio dimostrando come i Romani conservavano gli edifici a “futura memoria della maestosità della città conquistata”. Varie sono le ipotesi ancora al vaglio degli studiosi, personalmente credo che Giuseppe Flavio volesse doppiamente salvare se stesso e il Tempio per salvaguardare la propria vita e quella degli altri ebrei. Pensare che Tito a tutti i costi avrebbe voluto salvare il Tempio è difficile da comprendere, visto anche la sua crudeltà prima di ascendere all’impero come si ricava da Svetonio. Ritengo che Tito aveva interesse a conquistare e distruggere tutto quello che poteva permettendosi di mettersi in mostra come condottiero e futuro imperatore, e che avrebbe salvato il Tempio solo nel caso che i ribelli si fossero definitivamente arresi senza combattere. Distruggere il Tempio dimostrava la forza superiore che i Romani imposero agli ebrei eliminando il “Tempio-fortezza” che gli ebrei aveva a lungo difeso, cancellando così ogni forma religiosa e di resistenza che il luogo evocava.
Davide Casali
(Il brano è tratto da “La distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C.: uno studio sulle cause e sulle conseguenze a breve e lungo termine da prospettiva ebraica”, elaborato finale della tesi in “Conservazione e valorizzazione dei Beni Culturali” conseguita dall’autore presso l’Università Telematica Internazionale Uninettuno)
(8 dicembre 2021)