Analisi scorretta – L’Elogio
dell’elezione indiretta

Gli ultimi Presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella hanno goduto di ampia considerazione e popolarità per il loro equilibrio e per aver ben rappresentato il sentimento degli italiani, divenendo naturale simbolo dell’unità nazionale come deve essere il Presidente della Repubblica secondo la Costituzione.
Da più parti, in questi giorni che precedono l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale da parte del Parlamento (con l’aggiunta dei rappresentanti regionali), si sente riproporre la necessità che la elezione del Presidente avvenga a suffragio universale, cioè direttamente da parte dei cittadini e non in via indiretta come avviene ora.
L’importanza che si annette alla figura del Presidente è così vasta che i cittadini vorrebbero evidentemente partecipare alla scelta.
Quando il Presidente è eletto direttamente, assume maggiori poteri, e si parla perciò di Repubblica Presidenziale (nel caso di un Governo nominato dal Presidente che non deve presentarsi al Parlamento per il voto di fiducia, o semipresidenziale quando il Presidente guida un Governo espressione della maggioranza parlamentare.)
Alcuni commentatori hanno osservato che la nostra Repubblica starebbe scivolando verso il semi-presidenzialismo, un processo di antica data che risalirebbe al Presidente Gronchi, passando per Pertini e Cossiga e dopo, un po’ per tutti gli altri che si sono succeduti al Quirinale.
Il professor Sabino Cassese ha fatto notare qualche giorno fa in un suo articolo sul Corriere della Sera che taluni interventi, anche molto decisi, del Presidente della Repubblica non sarebbero in contrasto con la carta costituzionale.
Un altro celebre costituzionalista, Giuliano Amato, sostiene che le prerogative del Presidente della Repubblica, secondo la nostra Costituzione sono “a fisarmonica”, nel senso che, a seconda di chi li esercita, e dei momenti, sono ampie o ristrette.
Queste considerazioni sono scaturite da un intervento dell’On. Giorgetti – ministro leghista di Mario Draghi, il quale ha ipotizzato una guida “soft” del Governo nazionale da parte dell’ex Presidente della BCE, anche qualora dovesse abbandonare
Palazzo Chigi, per il Palazzo del Quirinale. Molti hanno rifiutato l’ipotesi scandalizzati, ma a molti cittadini l’idea che l’esecutivo venga guidato da chi siede sul colle più alto di Roma, sembra piacere.
Il sistema della elezione del Presidente previsto dalla Costituzione, proprio per le prerogative che questa gli assegna, è tale che si è sempre (o quasi) giunti ad eleggere una personalità politica non divisiva, al contrario unificante, e ciò spiega perché il giudizio dei cittadini sugli ultimi Presidenti eletti sia stato ampiamente positivo .
Intendiamo dire che è il processo elettivo a portare al Quirinale personalità con le migliori caratteristiche, che anche quando sconfinano in atteggiamenti che potrebbero far pensare al decisionismo, in realtà essi si muovono, come appunto ricordano Amato e Cassesse, nel perimetro costituzionale.
Se invece si dovesse giungere all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, la competizione politica sarebbe cosi forte, che è piuttosto improbabile che sarebbero eletti personaggi con il profilo di un Ciampi o un Mattarella.
Prova ne sia che nessuno dei maggiori leader della Repubblica, troppo caratterizzanti della rispettiva parte politica, è stato eletto al Quirinale.
Il giudizio sul Presidente a Capo dell’esecutivo sarebbe viziato dalle posizioni politiche, e probabilmente anche la sua postura istituzionale, l’apprezzamento calerebbe e con esso l’autorevolezza del Presidente della Repubblica, anche se noni poteri.
Alla fine un Presidente eletto dal popolo risulterebbe meno amato di uno eletto dal Parlamento. Se il Capo dello Stato deve rappresentare l’unità nazionale e tutti i cittadini, è preferibile un Presidente autorevole, seppure dotato di poteri “a fisarmonica”, ad un Presidente capo dell’esecutivo, dominatore dell’agone politico e per forza di cose di parte.

Anselmo Calò