Bartali e il valore della testimonianza
Dal 2013 Gino Bartali è annoverato tra i Giusti tra le nazioni, secondo quanto stabilito dallo Yad Vashem. L’onorificenza gli è stata attribuita dalla Commissione dei Giusti presso il memoriale di Gerusalemme al termine di un esame durato anni. La Commissione “ha basato il suo giudizio su un’ampia massa di testimonianze orali e scritte la cui attendibilità è fuori di ogni dubbio. Di Bartali sono state esaminate in particolare due azioni: il suo ruolo di messaggero di carte importanti per la salvezza di ebrei, che venivano consegnate fra gli altri a Natan Cassuto, allora Rabbino di Firenze e legato alla rete del Cardinale Dalla Costa; e l’avere messo un appartamento di sua proprietà a disposizione di ebrei”, ha spiegato il demografo Sergio Della Pergola, membro della Commissione per i Giusti e protagonista di un incontro milanese dedicato al riconoscimento di Bartali tra i Giusti. A prendere parte all’iniziativa, organizzata da Kesher, lo storico Michele Sarfatti, l’avvocato Renzo Ventura e il giornalista Gian Antonio Stella. Dopo l’introduzione di Fiona Diwan, direttrice di Mosaico, Della Pergola ha presentato al pubblico prove e testimonianze che hanno rappresentato il fondamento dell’esame portato avanti da Yad Vashem sul caso Bartali. Nel corso della sua articolata esposizione, il demografo ha risposto alle critiche mosse da alcuni storici sulla validità e affidabilità delle prove usate dalla Commissione per riconoscere l’operato del campione di ciclismo durante la persecuzione. “Yad Vashem ha probabilmente le sue pecche, nel senso della lentezza delle risposte alle richieste di chiarimenti e al fornire subito le documentazioni su cui ha lavorato”, ha evidenziato Della Pergola. “Ma con questo non si può mettere in dubbio l’integrità del suo operato”. Farlo, ha aggiunto, significa far parte di un’operazione che va al di là della questione Bartali, diretta “a delegittimare Yad Vashem come custode centrale della memoria del Popolo ebraico”.
Tra chi ha espresso critiche alla ricostruzione dei fatti, lo storico Michele Sarfatti, che ha spiegato di essersi soffermato solo su una parte circoscritta della vicenda Bartali. Ovvero, secondo Sarfatti mancano le prove che il campione di ciclismo avrebbe concretamente fatto parte della citata rete di assistenza clandestina legata a Dalla Costa, che forniva carte di identità false agli ebrei. A contestare questo punto è stato il giurista Renzo Ventura, che ha ricordato la testimonianza della madre, Marcella Frankenthal Ventura, che aveva dichiarato di aver ricevuto i documenti falsi dalle mani del ciclista, per conto della rete di Dalla Costa. Documenti ancora in mano alla famiglia Ventura. “A che scopo mia madre avrebbe mentito? Manca il movente del falso. Perché poi io sarei tutt’ora in possesso di quattro carte d’identità false? Io sono testimone di avvenimenti oggettivi e sono offeso dall’idea che qualcuno possa pensare che io o mia madre ci siamo inventati tutto”.