Joe Nathan, un banchiere per l’Italia
I genitori erano morti da tempo, e non riuscirono a vederlo salire i gradini della carriera nella Banca d’Italia. Ma all’inizio degli anni ’30, Giuseppe “Joe” Nathan viene nominato direttore della delegazione della banca centrale a Londra. Al figlio di Ernesto Nathan, il grande sindaco di Roma (1907-1913) e di Virginia Mieli, una senese della famiglia Rosselli, viene affidato dal Governatore Vincenzo Azzolini un incarico apparentemente di rappresentanza, ma in realtà molto delicato per le questioni valutarie. Nathan si dovrà barcamenare tra gli interessi del governo fascista – anni prima era stata lanciato da Mussolini l’obiettivo di “quota 90” del cambio lira-sterlina, spazzato via definitivamente dalla crisi del ’29 – e quelli delle banche private, in particolare con la potente Comit. È noto un carteggio in cui il direttore Joel della Commerciale di Londra si lamenta di Nathan (“ignora la tecnica dei cambi” scrive all’ad Giuseppe Toepliz, banchiere di origine ebraica, morirà nel 1938 prima delle leggi razziste) che a sua volta accusa la banca di “fare tutto quello che possono per deprezzare la lira”. Scontri che anni dopo sarebbero stati inconcepibili, ma i poteri forti allora lo erano davvero. Pochi mesi dopo questi fatti, nel 1932, arriverà nella sede di Londra come assistente di Nathan nientemeno che un giovanissimo Enrico Cuccia, al suo debutto in finanza dopo una breve esperienza in redazioni di giornali come Il Sole e il Messaggero. Fresco di laurea in legge Cuccia lavora a stretto gomito con Nathan per due anni, salvo poi rientrare a Roma all’Iri, richiamato dal suo mentore, il ministro delle finanze Guido Jung, amico di famiglia, siciliano, di origini ebraiche, legato a doppio filo al ceppo della borghesia imprenditoriale triestina. In quegli anni il percorso di Nathan si incrocia con quello di Dino Grandi, rimosso da Mussolini nel 1932 e mandato a Londra come ambasciatore. I due legheranno, forse complice anche il fatto che Grandi era affiliato alla Massoneria, e il padre del banchiere era stato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (sul sindaco è da poco stato pubblicato un bel libro, Nathan e l’invenzione di Roma, di Fabio Martini, ed. Marsilio). Certo, si narra, quando arrivò nella capitale inglese, Grandi – autore nel 1943 dell’ordine del giorno del 25 luglio che rimosse il dittatore – non aveva idea di cosa si occupasse la Banca d’Italia: “Che fate?” chiese, “Embè Eccellenza, un po’ de tutto” rispose con il suo accento romanesco (dal libro La Banca d’Italia, 100 anni). Ma arrivano le infami leggi razziste e Nathan viene subito rimosso, vittima dell’applicazione diligente delle nuove norme da parte del Governatore Azzolini. Sarà detenuto prima a via Tasso e poi a Regina Coeli, anche se poi Nathan ricorderà, nella sua testimonianza processuale, che Azzolini gli chiese di preparare una memoria sulla sua attività professionale al fine di fargli fruire delle benemerenze, e la sua domanda fu accolta nel 1940.
Una figlia di Nathan, Virginia, in un suo libro di memorie sul periodo 1943-45, ricorda comunque un atteggiamento troppo rigido di Azzolini quando nella primavera del 1944 si reca dal governatore per intercedere a favore del padre. Quello che la colpisce – racconta in saggio su Azzolini edito da Laterza l’economista Alessandro Roselli, già alto dirigente della Banca d’Italia e lui stesso in anni molto più recenti direttore a Londra – non è tanto sostanza della risposta, che difficilmente avrebbe potuto essere positiva nel momento più buio dell’occupazione della capitale, quanto dalla forma: «Quell’uomo, che io avevo visto tante volte con papà in tempi migliori, ascoltò, scuotendo la testa [ … ]: ‘È una situazione molto incresciosa e sono dolente per il povero Joe; ma non posso fare nulla per lui’. Con queste parole ci congedò, chiamando il portiere». Vero è anche che lo stesso Nathan, una volta finita la guerra e l’occupazione, ricorda: «Seppi poi che il Governatore aveva fatto qualche passo presso il Capo del governo per mantenermi in servizio, ma non riuscì». E comunque con Via Nazionale, nonostante la sua forzata rimozione, mantiene un legame: decide per un’erogazione tramite Azzolini a favore delle vittime del grave bombardamento di Roma del luglio 1943, nei giorni della caduta del fascismo. Azzolini lo assicura che la somma da lui inviata sarebbe stata aggiunta ai fondi erogati dalla Banca d’Italia allo stesso scopo. Manca ormai meno di un mese all’armistizio con gli Alleati e all’occupazione tedesca di Roma, che avrebbe fatto precipitare gli eventi verso la destituzione del governatore. Dopo la cacciata dei nazisti dalla Capitale la macchina statale si rimette in moto: il governo Bonomi nel settembre 1944 insedia la Commissione per lo studio della ricostruzione finanziaria dell’Italia: ne fanno parte tra gli altri Guido Carli, Paolo Baffi, Cesare Cosciani, Raffaele Mattioli, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni e Joe Nathan, appunto.
Carlo Marroni, Pagine Ebraiche dicembre 2021
(Nell’immagine in alto Joe Nathan insieme alla moglie)
(13 dicembre 2021)