Grattacieli, mercatini e cortili
Israele vive dinamicamente, in una pluralità contrastante di mondi e di impressioni. E anche le opposizioni fanno parte del suo innegabile fascino.
Tralasciamo per oggi Gerusalemme, che certo fa storia a sé e costituisce un cosmo a parte, e concentriamoci invece su Tel Aviv, che di questi contrasti appare la regina. Quel che più ti colpisce, ogni volta che ci torni anche a pochi mesi di distanza e con coraggio provi a calarti nel traffico frenetico del centro, è il caotico rinnovamento continuo, i perenni lavori in corso per nuove costruzioni e nuovi percorsi: dalla metropolitana leggera che nella sua interminabile esecuzione procede lungo itinerari per ora incomprensibili, a nuovi grattacieli di lamiera e cristallo (tantissime le gru all’orizzonte), a nuove piste ciclabili verde-evidenziatore per le bici sempre più fitte e gli ormai onnipresenti monopattini. Il tutto è insieme stressante e coinvolgente. Israele oggi appare innanzitutto questo: un forsennato andare avanti verso il futuro, a ritmi incessanti e trascinanti.
Ma Tel Aviv è anche altro, come pian piano riesco a cogliere nei miei sempre più frequenti e lunghi soggiorni israeliani in veste di nonno. L’andirivieni fitto di persone e il rincorrersi di voci nel mercato di Carmelit, per esempio, a cui è piacevole lasciarsi andare durante una rinfrancante sosta per gustare un falafel o un appetitoso panino marocchino; oppure i tanti piccoli oggetti pieni di originalità e buon gusto che ti trovi davanti facendo un giro per l’affascinante mercatino di Nachalat Benyamin, dove capisci come proprio niente debba essere buttato e proprio tutto possa essere trasformato in cose gradevoli da donare e da indossare (vecchie capsule del caffè espresso che diventano collane e ciondoli, astucci per mezuzot ornati da multicolori fiori secchi: la fantasia non ha limiti); oppure ancora e semplicemente – a sottolineare i tratti inaspettatamente delicati di una metropoli aggressiva e mai in riposo – i tavolini di un déhor in un bar del centro ingentiliti da radiosi girasole che sorridono appoggiati in eleganti vasi di vetro.
Bisogna saper cogliere le sfumature, per gustarsi Israele; andare oltre ciò che immediatamente si vede, per assaporarne i significati reconditi alle spalle. A Ramat Gan, per esempio, passeggiare nei quartieri che già si spingono verso Bnei Brak è una scoperta continua. Superate schiere di signorili ma anonimi grattacieli che contornano un vasto parco, cominci ad avventurarti per strade tranquille, dove basse costruzioni bianche contornano vicoli stretti e piccoli cortili. Sei a due passi da arterie rumorose e piene di traffico, ma ti sembra di aggirarti nelle vie di una Shtetl. Le famiglie religiose e piene di figli che le popolano accentuano questo surreale viaggio nel tempo, sottolineato anche dalla spontaneità accogliente con cui gli abitanti del luogo adornano i loro vicoli che sanno d’antico, appendendo e appoggiando ai muri vecchie stoviglie pesanti lampadari e altri oggetti domestici d’una volta. Non si direbbe, ma a cento metri da questo piccolo mondo fuori dal tempo, giusto al di là dell’alto muro al limitare dell’ennesimo giardino, passa la trafficatissima tangenziale di Tel Aviv e dintorni, attraversata a ogni ora dai fiumi di veicoli che transitano attraverso la città che non dorme mai.
David Sorani
(13 dicembre 2021)