Periscopio – Giudecca

Col nome di Giudecca, com’è noto, sono indicati, in alcune città d’Italia, i quartieri dove un tempo vivevano gli ebrei. Nella maggioranza dei casi, in tali luoghi la presenza ebraica è completamente scomparsa, in quanto gli ebrei emigrarono per altre destinazioni, spesso cacciati con la forza, a volte anche spontaneamente, alla ricerca di migliori condizioni di vita. E, anche nelle località dove resta ancora una percentuale di abitanti di religione o origine israelita, è oggi raro che essi vivano ancora, al giorno d’oggi, in quelle antiche zone. Il tempo, col suo inesorabile scorrere, cambia tutto, e ben sappiamo come questo passaggio, nella specifica storia del popolo ebraico, sia stato duro.
Restano, però, in alcuni casi, delle tracce, a volte rievocate dalle guide turistiche: Qui abitavano gli ebrei, qui sorgeva una sinagoga, qui c’era il confine del ghetto, qui una leggenda antisemita narra che, nell’anno tale, alcuni ebrei malvagi avrebbero fatto quel sacrificio rituale… I turisti ascoltano – a volte interessati, a volte distratti – quei racconti di un passato remoto, intessuto di dolore, speranza, resilienza.
Mi è capitato spesso, in particolare, di visitare la Giudecca di Trani, città meravigliosa, che amo particolarmente, nella quale si è recentemente verificato, com’è noto, l’evento, più unico che raro, della riapertura al culto dell’antica sinagoga di Schola Nova, che era stata riconvertita – come accaduto in molti altri casi – in chiesa cattolica. Le strade hanno ancora conservato l’antica struttura, e da quelle pietre bianche paiono ancora risuonare gli echi di quei tempi lontani, che tanto hanno significato per la storia del nostro Paese.
Mi torna alla mente, al proposito, un suggestivo episodio autobiografico narrato da Giorgio Bassani nel prologo de Il giardino dei Finzi Contini. Durante una visita a un sito etrusco, una bambina confessa alla madre la sua malinconia. Alla richiesta di spiegare il motivo di questo suo stato d’animo, la bimba risponde di essere triste perché quegli etruschi sono morti. Ma sono morti da tanto tempo, risponde la mamma, che è come se non fossero mai vissuti. Ma la bambina la contraddice: no, io so che sono davvero vissuti, e sono triste perché non ci sono più. E la sensibilità della fanciulla, a questo punto, tocca il cuore anche dei suoi compagni di gita adulti. Era lei – commenta il grande scrittore – che ci teneva per mano. Quando passeggio per la Giudecca di Trani mi capita qualcosa del genere, sento che una invisibile bambina mi prende per mano, per ricordarmi che quelle pietre non sono solo delle testimonianze storiche, ma anche i luoghi dove hanno vissuto delle persone, delle persone vive.
Ma la parola Giudecca ha anche un altro significato.
L’Inferno dantesco, come sappiamo, è configurato come un tenebroso precipizio verso il centro della Terra, che vede le anime dannate distribuite in tanti cerchi, a seconda della gravità delle loro colpe. Più si scende, più i peccati sono gravi, e più dolorosi i supplizi comminati. Così, vediamo rappresentata, in un crescendo inesorabile di orrore e angoscia, prima la sorte degli ignavi, nell’Antinferno, e poi, nel primo cerchio, degli infedeli, nel secondo, dei lussuriosi, nel terzo, dei golosi, nel quarto, degli avari e prodighi, nel quinto, degli ingordi e accidiosi, nel sesto, degli eretici, nel settimo, dei violenti, nell’ottavo, dei fraudolenti e, alla fine, nel nono, dei traditori.
Ma alcuni cerchi sono, a loro volta, suddivisi in distinti settori (gironi, bolge o zone). Il nono, in particolare, comprende quattro zone diverse: prima c’è la Caina (che raccoglie i traditori dei parenti), poi l’Antenora (per i traditori della patria), poi la Tolomea (traditori dei commensali) e infine, al centro della Terra, la Giudecca (ove sono suppliziati i traditori dei benefattori). Al centro del centro, siede Satana, gigantesco mostro alato, che, nelle sue tre orrende bocche, maciulla in eterno le carni dei tre peccatori più colpevoli di tutti, in quanto responsabili di avere tradito quelli che, nella visione dantesca, erano stati i fondatori del regno terrestre e di quello celeste: Bruto e Cassio, traditori di Cesare, e Giuda Iscariota, traditore di Gesù. E, dei tre “super-dannati”, evidentemente, il più esecrando è proprio Giuda, dal momento che la zona prende il nome da lui (così come le altre tre lo ricavano, rispettivamente, da Caino, Antenore e Tolomeo).
Due domande, a questo punto, si impongono.
La prima è: il fatto che la Giudecca di Dante fosse il luogo della massima perdizione ha contribuito, nell’immaginario collettivo medievale (e non solo), a veicolare odio e disprezzo non solo verso la persona di Giuda, ma anche nei confronti dell’intero popolo giudaico, a cui quel nome, evidentemente, pare rinviare?
La risposta è netta: sì. Ha contribuito, e non poco.
La seconda è: Dante era consapevole di ciò? Per lui la Giudecca era solo il luogo del supplizio di Giuda, o anche il simbolo di una sorta di condanna collettiva rivolta, nel suo insieme, all’intero popolo giudaico?
A questa seconda domanda la risposta è più complessa. La Giudecca, certamente, è il luogo della dannazione di Giuda, non dell’intero popolo giudaico. Ma Dante non ignorava, altrettanto certamente, lo stretto legame, anche fonetico, tra quel singolo peccatore e il popolo a cui apparteneva.
La seconda domanda, così, rinvia a una terza, a cui cercheremo di rispondere nelle prossime puntate: chi è stato, e cosa ha rappresentato, per Dante, Giuda?

Francesco Lucrezi