Roberto Saviano, disegni di una vita

“È stata la più grande sfida della mia carriera”. Nella bocca di un artista che sta presentando la sua ultima opera potrebbe sembrare una frase dettata dalle esigenze della promozione, ma quando la pronuncia Asaf Hanuka a proposito di Sono ancora vivo non puoi non credergli. Da 20 minuti stiamo parlando di questo lavoro firmato con Roberto Saviano e pubblicato da Bao Publishing in tempo per Lucca Comics 2021. Una chiacchierata per capire come hanno fatto ad incontrarsi due personalità, sì cosmopolite, ma ciascuna confinata in una diversa sfera personale ed emotiva, eppure destinate ad intersecarsi fino a diventare amicizia.
Saviano ha parlato molto di questa opera. Ha dichiarato che il fumetto gli ha permesso di dare voce a quello che non sarebbe riuscito a dire in nessun altro modo: la sua infanzia, l’esigenza di raccontare il male… soprattutto i quindici anni sotto scorta, le critiche e l’assurdità di dover sentirsi in colpa “per essere ancora vivo”.
Ora rimane la curiosità del legame tra uno scrittore vittima di fatwa camorristica e un mizrahi (ebreo proveniente dal mondo arabo) che si è fatto amare in Israele per storie che parlano di mutui e di incomunicabilità famigliare. Forse è ora di scoprire la versione di Asaf.
Forse cominciare un’intervista ricordando ad Hanuka che lui questo libro lo aveva annunciato per l’autunno 2017 non è il massimo per creare un clima confidenziale. Specie dopo aver visto il serissimo ufficio di Tel Aviv da dove ci risponde: persino la sansevieria sul davanzale fa fatica a non crescere in bianco e nero. “Il libro lo avevamo finito – spiega – ma abbiamo deciso di cambiarlo dopo la prima versione, ci siamo accorti che c’erano altre storie che volevamo raccontare, altre pagine da aggiungere, tante cose da rivedere”.
Infieriamo mostrandogli la foto che nel 2016 documentava l’inizio del sodalizio: c’è Saviano che con un entusiasmo partenopeo abbraccia Hanuka, decisamente più rigido. Comprensibile, visto che sul suo blog ‘The Realist’ (in Italia raccolto nei tre volumi di “K.O. Tel Aviv” di Bao) Asaf svela di non amare il contatto fisico. Quello con Saviano deve essere stato un incontro davvero speciale. “Un progetto come questo ti porta a sviluppare una vera amicizia – mette subito in chiaro Hanuka – le persone tendono a diventare molto sincere in una collaborazione artistica. Al nostro primo incontro, appena Saviano ha cominciato a raccontarmi la sua storia, mi sono sentito in sintonia con lui, anche sul piano personale. Ho sentito qualcosa di così forte, drammatico e autentico che mi sono detto: questo devo disegnarlo”. Ci immaginiamo Saviano sul divano di casa Hanuka, quello al centro della sua strip dove il figlio si trasforma in Sponge Bob, mentre discutono e disegnano. Lui ci riporta alla realtà: “Ci siamo visti a Milano e New York, Saviano era stato in Israele prima di conoscermi. Ha persino incontrato Shimon Peres”.
“Magari ci tornerà per la promozione del libro?”, la buttiamo lì. Sul fatto che Sono ancora vivo possa essere tradotto in ebraico Hanuka è ottimista e non solo per motivi letterari: “Penso che ci sia una buona possibilità: la storia di Roberto parla di libertà, di attaccamento alle radici e del prezzo che si paga per le proprie decisioni, sono temi molto sentiti qui. E poi Israele e l’Italia sono simili nel modo in cui affrontano le tensioni sociali. Certo i problemi di base sono differenti, ma la gente si sente molto coinvolta nel cercare di cambiare la società. La storia di Roberto, in qualche modo è quella di un uomo che sta pagando per questo tentativo”.
Oppure, come ha dichiarato di recente Saviano, il legame tra i due passa anche da una solida cultura mediterranea… “Sono parte di quel mondo: sono israeliano, mio padre è curdo, mia madre irachena. Sono cresciuto in una famiglia dove si parlava arabo”, ricorda con fierezza Hanuka.
Ma a prescindere dalla loro formazione è il modo in cui si sono interfacciati l’autore di Gomorra e quello di Divino a essere un esempio di libertà creativa. “Nessuno dei due si è dato un ruolo preciso – risponde Asaf quando gli chiediamo del metodo di lavoro – Roberto non è stato come uno sceneggiatore che ti dice ‘alla pagina tale succede questo’ e tu lo disegni seguendo lo script. Siamo partiti dalle sue parole, ma poi il lavoro ha preso forma tavola dopo tavola con il contributo di entrambi. Roberto mi mandava delle piccole frasi, io le trasformavo in schizzi e storyboard, su cui lui faceva commenti o aggiunte. Un vero pingpong di idee, un flusso continuo. Roberto più che uno scrittore è stato un regista. Molte delle immagini che vedete arrivano direttamente da lui”.
Un approccio che non è piaciuto ad alcuni critici italiani che hanno visto lo stile del fumettista israeliano troppo sacrificato al testo di Saviano. Lo diciamo ad Asaf strappandogli un sorriso. “Alla base del linguaggio del fumetto c’è la tensione tra il testo e il disegno. Per questo libro ho cercato di creare un delicato bilanciamento tra il realismo e l’onirico, a volte anche partendo da pochissimi input. Lo so che ad alcune persone potrà non piacere, ci sta, ma per me è stata la più grande sfida della mia carriera. Perché quando all’inizio Saviano mi ha raccontato la storia: ho pensato: wow è fantastico, è potente, quasi un poema, un messaggio dove tutto è connesso in modo brillante, adesso cosa posso fare per rendere ancora più interessante quel racconto attraverso il mio medium? Volevo dare la sensazione di entrare nell’anima di qualcuno”.
Però la scena in cui Saviano e Salvini tirano di boxe deve essere per forza un’idea sua, visto quanto questo sport è onnipresente nelle sue storie. “Sì, amo la boxe, la trovo una perfetta metafora della battaglia della vita, delle fatiche del giorno, ma quella è stata un’idea di Saviano”. Ora Asaf si concentra di più su Hanuka, in senso letterale. “Sto cercando di finire un libro sulle origini della mia famiglia, dove si parla anche di un omicidio. Si intitola The Arab Jew ed è già uscito in ebraico sulla rivista Calicast a puntate settimanali, ma ora voglio condensarlo in un volume”.
Suo fratello gemello Tomer, come sempre, è della partita. Dopo quattro anni di pingpong di idee si merita di disegnare ancora un po’ il divano di casa.

Alberto Angelino – Pagine Ebraiche dicembre 2021 / Dossier Graphic&Jews

(16 dicembre 2021)