Yehoshua e l’Italia

Abraham B. Yehoshua ha voluto fare un ultimo regalo ai suoi estimatori (ma la speranza è che non sia l’ultimo) pubblicando La figlia unica (Einaudi, Torino 2021). È un romanzo che ha almeno due singolarità rispetto alla precedente produzione: è ambientato in Italia e dà ampio spazio alla citazione di brani interi del deamicisiano “Cuore”.
Già l’ambientazione in Italia è qualcosa di singolare: quasi tutte le opere di Yehoshua hanno come luogo di svolgimento Israele, anzi è proprio attraverso la lettura dei suoi romanzi che molte persone sono riuscite a entrare nella realtà della vita quotidiana israeliana, ancor più che per mezzo delle visite dirette del Paese, visite che inevitabilmente mantengono un carattere turistico, anche quando sono sorrette dalla volontà di penetrare più a fondo lo spirito israeliano.
Ma la seconda singolarità è ancora più intrigante: “Cuore” dopo essere stato per decenni il libro sul quale si sono formate generazioni di giovani italiani, è caduto vittima del vento del “68 : fu il famoso “Elogio di Franti” di Umberto Eco pubblicato in “Diario minimo” che lo offrì senza difese ai sarcasmi e al disprezzo dei nuovi benpensanti e da allora non si è più risollevato. “Diario minimo” fu pubblicato nel 1963 ed è perciò anticipatore e preparatore dello spirito del ’68, non conseguenza; ma questo ci fa capire quanto acuta fosse la sensibilità di Eco. A completare l’opera ci fu nel 1972 l’edizione nella “Nuova Universale Einaudi” che avrebbe dovuto consacrarne il passaggio da libro per l’infanzia a opera letteraria tout court, come già era avvenuto per “Pinocchio”. Ma l’introduzione e soprattutto i commenti a pie’ di pagina di Luciano Tamburini, recentemente scomparso, costituirono, se ce ne fosse stato bisogno, il definitivo massacro dell’opera di De Amicis, che da allora si può dire sia scomparso dal numero delle opere lette se non dagli specialisti che vi sono obbligati per professione. Ritrovare perciò due lunghe citazioni tratte da due dei racconti mensili (“L’infermiere di Tata” e “Il piccolo scrivano fiorentino”) che interrompono la narrazione diaristica di un anno di scuola della giovane protagonista del libro lascia a prima vista sconcertati, anche se sono noti sia l’amore che Yehoshua ha per il nostro Paese sia la sua profonda conoscenza della nostra letteratura. Ma che questa conoscenza lo portasse a riproporre ai lettori di oggi un’opera pressoché all’indice da mezzo secolo è qualcosa di inatteso perciò di singolare. La conseguenza è che è necessario riprendere in mano “Cuore” e oggi, lontani ormai dalle fumisterie sessantottesche, cercare di capire le ragioni della scelta di Yehoshua e, quindi, di comprendere ciò che è vivo e ciò che è morto dell’opera di De Amicis.
Certamente tutta una serie di caratteristiche negative del libro, o meglio, della visione della vita che il libro propone restano in piedi: ipocrisia, perbenismo, instillazione di sensi di colpa, classismo continuano a caratterizzare il libro anche per un lettore del nostro tempo. E tuttavia l’implicito invito di Yehoshua è di andare oltre, di trovare altro in quelle pagine deamicisiane tanto disprezzate. E questo altro è l’educazione dei sentimenti, che non è necessariamente sentimentalismo e nemmeno necessariamente ipocrisia o retorica. Viene da pensare alla metafora del bambino e dell’acqua sporca: da più di mezzo secolo ci siamo abituati a non distinguere più il bambino dall’acqua sporca in cui è stato lavato e allegramente gettiamo entrambi dalla finestra. L’invito di Yehoshua è di cercare di distinguere e, nel liberarci di tutto ciò che c’è di inaccettabile nella retorica di “Cuore”, di conservare ciò che continua ad avere un valore e che sembra ormai ciarpame inutilizzabile: l’educazione dei sentimenti, appunto.
Ma c’è anche un altro invito implicito nella scelta di Yehoshua, anzi due: cercare di guardare con un altro occhio rispetto a quello a cui siamo abituati a quell’Italia liberale, già schernita con l’epiteto di Italietta, letta rispetto a ciò che c’era prima (i regimi assolutistici) e soprattutto a ciò che c’è stato dopo (il fascismo), e a uno dei suoi prodotti più significativi, quel socialismo umanitario a cui De Amicis appartiene di diritto. Se il fascismo ha schernito l’Italia liberale definendola “Italietta”, la cultura del secondo dopoguerra, e in particolare quella di derivazione marxista, ha schernito il socialismo umanitario contrapponendogli le rivoluzioni sovietica e cinese. D’altra parte quell’Italia liberale ebbe come avversari e come becchini D’Annunzio e Mussolini.
Ma sembra che sia vero, almeno in parte, che il tempo è galantuomo; o almeno così sembra pensarla Yehoshua, che non prova alcun imbarazzo a riproporre, insieme al valore dell’educazione dei sentimenti, quello dell’Italia liberale e del socialismo umanitario.

Valentino Baldacci