Auguri a tutti i costi

Se oggi è il compleanno di A e non è il compleanno di B si suppone che sia B a fare gli auguri ad A e non viceversa; sarebbe assurdo che A pretendesse a tutti i costi di fare gli auguri a B e si offendesse se qualcuno facesse notare che B non compie gli anni. Perché non funziona così anche per le festività religiose? Il fatto è che i compleanni sono distribuiti più o meno equamente tra tutti i giorni dell’anno, mentre le festività religiose sono comuni a molti, talvolta a maggioranze schiaccianti.
È sconcertante l’astio con cui è stato commentato un documento interno di raccomandazioni della Commissione Europea (Guidelines on Inclusive Communication), che invitava tra le altre cose a non dare per scontato che tutti siano cristiani o che tutti i cristiani festeggino il Natale nella stessa data: fioccavano titoli come “In Europa vietato dire Natale”, “Natale censurato”, “Così l’Europa cancella il Natale”, ecc. Non nego che il documento (poi ritirato) potesse essere discutibile: forse non è giusto pretendere che una maggioranza schiacciante modifichi il proprio comportamento tradizionale in funzione di una minoranza esigua; forse in un contesto in cui la probabilità che i propri interlocutori siano cattolici o protestanti è altissima è abbastanza logico augurare buon Natale a tutti. Ma un conto è augurare buon Natale perché si suppone che il proprio interlocutore sia cattolico o protestante, tutt’altra cosa è rivendicare il diritto di fare gli auguri a tutti i costi anche a chi non lo è. Nei commenti che ho letto al documento della Commissione Europea ho notato una voluta e inquietante confusione tra questi due piani, come se fosse offensiva l’idea stessa che in Europa possa esserci qualcuno che non festeggia il Natale.
Personalmente non sento la necessità di augurare a tutti i costi Shabbat shalom o Chag sameach a qualcuno che non è ebreo, anche in contesti a fortissima maggioranza ebraica. Invece ho notato che c’è chi mi augura Buon Natale pur sapendo benissimo che sono ebrea, e in qualche caso è evidente che non lo fa per abitudine o distrazione (che sarebbero entrambe comprensibilissime e giustificabilissime) ma per una sorta di rivendicazione della propria identità. Ma che gusto c’è a imporre a qualcuno auguri non suoi? Si fanno gli auguri per far piacere a chi li riceve o per il gusto di metterlo a disagio?

Anna Segre