Storie di Libia – Aide Naouri
Aide Naouri, ebrea libica, fuggita a 17 anni a seguito delle sommosse contro gli ebrei scatenatesi a causa della vittoria degli israeliani nella guerra dei Sei giorni. L’intervista si è svolta al Museo Ebraico di Roma, situato nel Tempio Maggiore Ebraico, nella sezione Ebrei Libici ove sono stati donati e prestati numerosi ricordi, foto, ritagli di giornali, libri, vesti, gioielli e oggetti vari anche antichi, delle famiglie ebraiche tripoline fuggite a seguito dei pogrom del 1945/1948 e l’ultimo del 1967. Nella branca Libica del Museo saranno conservate tutte le interviste fatte da chi scrive.
Aide abitava, come moltissime altre famiglie ebraiche, in Corso Sicilia. Non aveva nessun tipo di rapporto con la comunità araba ed era consapevole delle restrizioni nelle quali dovevano vivere: non poteva uscire da sola, perché sarebbe stata molestata dagli arabi. Se usciva con le amiche doveva rientrare alle sette e potevano andare al mare solo di mattina, perché il pomeriggio dopo il lavoro la spiaggia si riempiva di libici che si divertivano a disturbare le ragazze. Spesso i ragazzi venivano vilipesi per strada da gruppi di arabi che li schernivano quando erano in numero maggiore. Suo fratello tornava spesso a casa con la camicia strappata. Secondo Aide la comunità ebraica era pienamente consapevole di essere trattata da cittadini di serie B, di non avere la libertà di professare apertamente le tradizioni e di essere detestata. Non se ne rendevano conto veramente e forse gli sembrava normale una vita così. Solo nel momento in cui molti di loro arrivarono in Italia capirono che in Libia non solo i loro beni erano stati confiscati, ma non godevano di libertà e dignità. Gli unici con i quali gli ebrei libici avevano rapporti sociali erano gli altri ebrei e gli italiani. Molti frequentavano la scuola italiana, e spesso organizzavano feste tra amici il sabato pomeriggio.
Nel complesso tutte le famiglie ebraiche osservavano le tradizioni religiose ebraico-tripoline nelle feste, il cibo kosher, lo Shabat al Tempio, le liturgie. La famiglia di Aide era di nazionalità francese, ma grazie alla frequentazione della scuola italiana parlavano anche l’italiano. La vita scorreva come tutti i giorni, e dopo la fine di ogni anno scolastico molte ragazze ebree andava a lavorare in ufficio. Quando scoppiò la Guerra, lavorava presso l’ufficio di Arturo Journo z.l., un pò distante da casa sua e quindi non si era resa conto di cosa stesse succedendo. All’improvviso entrarono due impiegati arabi dicendo che era scoppiata la guerra, di ritornare di corsa a casa, che loro stavano chiudendo tutto. Aide fu presa dal panico perché non sapeva come fare a tornare a casa da sola. Fortunatamente la madre le telefonò dicendole di andare in fretta a casa di Luciano Hannuna z.l. che abitava proprio dietro l’ufficio, e lì si rifugiò insieme a Dori Zard. Rimasero per cinque giorni al buio, per paura di aprire le finestre. Parlavano a bassa voce e ascoltavano la TV a bassissimo volume, per sentire le notizie riguardanti la guerra. Mentre in tv Levi annunciava la vittoria di Israele le radio locali arabe dicevano il contrario. Dopo alcuni giorni il cibo iniziò a scarseggiare, ma sua madre, grazie all’aiuto di un arabo di buon cuore che mise a rischio la sua vita per aiutarli, riuscì a far recapitare per lei e la famiglia che l’ospitava una grossa cesta colma di viveri. Luciano Hannuna z.l., di nazionalità italiana, ricevette dall’Italia l’ordine di lasciare la Libia e così accompagnò Aide dallo zio Hmuni Debash z.l., dove rimase per altri due giorni. Ancora non si rendeva conto del reale pericolo ma sapeva che tutti avevano paura. Già altre volte gli arabi avevano creato sommosse con slogan del tipo: “Morte agli ebrei, sgozziamo l’ebreo…” o “Morte agli americani”, ma poi tutto era sempre tornato come prima. Al secondo giorno ricevette la telefonata del padre che gli disse che sarebbe venuta una persona dell’ambasciata francese a prenderla e a portarla a casa. Infatti arrivò la macchina del corpo diplomatico, guidata da un arabo: arrivando in Corso Sicilia, vide tutti i negozi bruciati e gli chiese cosa fosse successo e lui le rispose che erano stati bruciati tutti i negozi degli ebrei e che molti erano morti. Solo in quel momento si rese veramente conto della gravità della situazione. Anni dopo, ormai in Italia, scoprì cosa era successo durante quel caos: un macellaio sgozzato, alcune famiglie portate via dalle loro case con l’inganno. Una storia in particolare la colpì. Durante quelle sommosse dei poliziotti andarono a bussare a casa di Aide, ma suo padre non aprì. Allora essi attraversarono la strada e andarono a bussare ad un’altra famiglia promettendo di salvarli e invitandoli ad andare con loro. Era la famiglia Luzon e pensando di aiutare la famiglia amica dei Raccàh chiesero ai poliziotti di poter andare con loro insieme. L’indomani mattina alcuni poliziotti andarono da un caro amico non ebreo della famiglia Luzon chiedendo se fosse in grado di riconoscere i suoi vicini e così lo portarono in un campo dove c’erano molti morti e tra quelli riconobbe con orrore le due famiglie vicine. Da quel giorno il povero uomo a causa del trauma non ha più vissuto una vita normale. Aide, rientrando a casa sua, vide che la madre aveva già preparato le valigie. Una valigia e 20 sterline d’oro per ognuno fu tutto ciò che era consentito portare con loro. Arrivò la macchina dell’ambasciata per portarli all’aeroporto. Il loro aereo era già pronto per partire e quindi non furono perquisiti. I suoi genitori erano giustamente traumatizzati non solo perché dovevano abbandonare tutto ciò che avevano ma anche i loro amici, i parenti, gli zii, nipoti, i nonni. Aide avendo visto lo scempio in Corso Sicilia, rendendosi conto di come avevano vissuto e quanto erano odiati, si sentì per la prima volta libera. Della mattanza occorsa a Tripoli alle due famiglie si seppe solo dopo tanti anni, e lei non potrà mai perdonare coloro che con malvagità hanno fatto tutto ciò. Ai figli e ai nipoti ha trasmesso i ricordi sia delle sofferenze subite in Libia che delle cose positive. Si meraviglia oggi solo per i “nostalgici”, che vorrebbero ritornare in Libia, e si domanda perché vorrebbero tornare in un posto dove sono stati umiliati e maltrattati. Aide non ha nostalgia di quel paese ma può comprendere umanamente gli anziani per il trauma che hanno subito nell’essere sradicati dalla loro terra improvvisamente. Per lei è molto importante trasmettere alle generazioni future tutte le tradizioni religiose ebraico libiche: lei lo ha fatto con i suoi figli e spera che continueranno a farlo anche loro. La sua famiglia originaria che viveva a Tripoli si è dispersa tra Roma, Stoccolma e Israele. Aide è molto felice in Italia e si sente a casa a Roma anche se è attratta moltissimo da Israele. Quando aveva 18 anni ci era andata con i genitori per tre mesi, ma non si era sentita di rimanere lì da sola. Il suo cuore è rimasto là e sogna un giorno di poterci andare a vivere. Dopo tutto ciò che hanno passato in Libia pensa che sia una causa persa lottare per riavere i beni confiscati, così come ritiene una fatica inutile cercare di preservare i luoghi ebraici ancora in piedi come testimonianza della presenza degli ebrei. Non crede affatto che se cambiasse la politica in Libia, permetterebbero agli ebrei di tornare a viverci ed ad avere una vita normale, non da cittadini di serie B, di essere risarciti, o addirittura permettere di costruire un Monumento in memoria delle vittime dei Pogrom e della Shoah. Se anche la politica cambiasse purtroppo non cambierebbe mai la mentalità degli arabi che, sostiene, odiano gli ebrei a prescindere. Lei ringrazia sempre D.O per essere andata via dalla Libia, se fosse rimasta lì non avrebbe realizzato una vita piena e un lavoro stupendo che ha fatto per 40 anni in una multinazionale molto importante dove è stata stimata, apprezzata e rispettata come donna e come ebrea. Le dure esperienze tripoline e le preziose lezioni di vita imparate possono essere di insegnamento alle future generazioni e prima di tutto l’integrazione che con amore le ha permesso di vivere in un paese completamente estraneo. É importante essere orgogliosi delle proprie origini perché non vanno mai dimenticate come le tradizioni religiose. Bisogna avere la forza, aggiunge, di non piangersi addosso e di rimboccarsi le maniche. In famiglia Aide ha sempre insegnato ad osservare tutte le tradizioni religiose ebraiche libiche, dalla liturgia alle feste e al cibo kosher, grazie anche a Amos e Linda Guetta che hanno scritto un libro di ricette kosher tripoline. Bisogna insegnare ai nipoti e pronipoti ad andare sempre a testa alta per le proprie origini, tradizioni e per tutto ciò che hanno fatto e subìto nel passato e nel presente. Bisogna progredire e andare avanti, ma senza dimenticare ciò che il popolo ebraico ha passato.
Per Aide la memoria è la ricchezza più grande.
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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)
David Gerbi, psicoanalista junghiano
(20 dicembre 2021)