“Talmud, un patrimonio italiano”
“La pergamena brucia, ma le lettere volano via”.
Lo ricorda la targa incastonata alcuni anni fa, in Campo de’ Fiori, per non dimenticare quel che qui avvenne il 9 settembre del 1553. Circa mezzo secolo prima di Giordano Bruno, quel giorno sul rogo andarono molti libri ebraici, soprattutto pagine del Talmud. Così aveva decretato l’allora cardinal Carafa, che presto sarebbe diventato papa con il nome di Paolo IV. Tra i suoi primi atti, come noto, la promulgazione dell’infame bolla “Cum nimis absurdum” e l’istituzione del Ghetto. Il rogo del Talmud, il divieto di studiarlo in tutti i territori dello Stato pontificio, ha condizionato per secoli la vita degli ebrei italiani. Rav Adin Steinsaltz zl sosteneva che a causa di questa censura lo studio del Talmud e di conseguenza l’osservanza dei precetti fosse significativamente diminuita nella Roma ebraica (che pure si attrezzò, con alcuni sotterfugi, per aggirare il divieto papalino). Oggi il Talmud è un patrimonio vivo, nel mondo ebraico naturalmente, ma anche nel resto della società italiana. Lo attesta il progetto di traduzione in atto nel segno della collaborazione avviata nel 2011 tra istituzioni ebraiche nazionali, governo e CNR. Un nuovo trattato, il sesto a vedere la stampa dall’inizio del percorso, si è da poco aggiunto a quelli precedentemente usciti. Si tratta di Betzà (Yom Tov, giorno festivo), uno “dei più tecnici, ma non per questo meno stimolante” avverte rav Gianfranco Di Segni che ne è il curatore.
Betzà si occupa delle regole dei giorni festivi ed è suddiviso in cinque capitoli. Il primo dei quali – spiega il rav, che è anche il coordinatore della traduzione dell’intero progetto – “tratta delle differenze di opinione tra la Scuola di Shammài e la Scuola di Hillèl riguardo alle regole dello Yom Tov, su che cosa sia permesso o vietato fare nei giorni festivi”. Il secondo continua con le discussioni fra le due Scuole “relative alle feste e in particolare affronta il problema su come preparare il cibo necessario per lo Shabbàt quando il venerdì è un giorno festivo”. Il terzo si occupa del problema “se sia lecito nel giorno di Yom Tov catturare un animale (quadrupedi e pesci) per la necessità della festa e di altre regole inerenti all’approvvigionamento di cibo”. Il quarto “tratta del trasporto di cibo e bevande e dell’uso di legna per fuoco o altri utilizzi”. Il quinto infine “discute la norma per cui è proibito di Shabbàt e Yom Tov oltrepassare il limite della città e come si possa estendere questo limite in casi di necessità”.
Betzà, che è già tra le mani del Capo dello Stato Sergio Mattarella come tutti i precedenti volumi, è un trattato fondamentale per capire cosa significa osservanza in una prospettiva ebraica di cui si coglie spesso un riverbero universale. “Mi viene in mente, nel parlarne, un grande intellettuale che ebreo non era: mi riferisco ad Umberto Eco”, dice rav Di Segni. “In una sua Bustina di Minerva sull’Espresso, Eco racconta di quanto possa a volte sembrare insopportabile l’osservanza delle regole dello Shabbat, come quella sull’ascensore impostato con lo ‘Shabbat system’ con fermate automatiche a ogni piano. Una situazione snervante per chi non se lo aspetta. Poi Eco capì che se non ci si danno regole precise l’esito, inevitabile, sarà quello di non rispettarle. Fece al riguardo un paragone con le diete molto calzante: se si supera, anche di poco, la soglia di assunzione di grassi o altre sostanze che ci siamo imposti, quella soglia finirà per lievitare sempre di più. E i nostri propositi di perdere peso falliranno. Con questo ragionamento Eco entrò bene in quello spirito dell’osservanza che permea Betzà”.
Nel trattato appena pubblicato, aggiunge il rav, “la parte narrativa è forse minore rispetto ad altri”. Non mancano però “passaggi piuttosto interessanti” anche in questa chiave. Si fa tra gli altri il seguente esempio: un Maestro che sta tenendo una lezione e i suoi studenti che, a gruppi, progressivamente lasciano la sala per andare a casa, mancandogli di rispetto, anche se lo scopo è di santificare la festa. “Il fatto che durante lezioni e conferenze ai nostri tempi il pubblico smanetti dall’inizio alla fine al telefono non fa più notizia. Un problema di mancato ascolto che ricalca, in qualche modo, quell’episodio narrato in Betzà. Un caso tra i tanti – fa notare il rav – che ci ricorda l’estrema attualità del Talmud”.
Un concetto tra i più approfonditi in Betzà è quello del muqtzè (“messo da parte”). Ossia tutti gli oggetti che non possono essere toccati o, più precisamente, spostati durante lo Shabbat e nei giorni festivi. Una norma che si impara da un passo di Isaia dove è scritto: “Se tratterrai di Shabbàt il tuo piede dal fare i tuoi interessi nel giorno a Me sacro e chiamerai lo Shabbàt delizia per il Signore santo e onorato, e lo onorerai deviando dal tuo cammino e dall’occuparti dei tuoi affari e dal parlarne, allora ti delizierai…”. Muqtzè sono anche le moderne e invasive tecnologie di cui ci serviamo nella quotidianità e che di Shabbat e giorni festivi sono proibite: ma se fosse permesso prendere in mano, per esempio, il cellulare, sarebbe inevitabile quasi per chiunque contravvenire al divieto di usarlo.
Circa un anno è stato necessario per la curatela di Betzà. “Il tempo più o meno standard per un lavoro del genere”, spiega rav Gianfranco Di Segni che simultaneamente ha avviato la curatela di un altro trattato, Shabbat, insieme al rav Michele Ajò. Altri trattati sono inoltre a buon punto: tra quelli prossimi alla pubblicazione Meghillà, di cui si sta occupando rav Michael Ascoli, e Sukkà, sul quale sta lavorando rav Riccardo Di Segni. Due-tre anni: è questo il tempo medio per portare un trattato dall’inizio alla fine del processo editoriale fra traduzione, revisione da parte di talmudisti esperti e curatela con revisione e uniformazione del tutto. “Siamo consapevoli che per vedere la fine di questa impresa serviranno molti anni. Ma la strada – conclude il rav – è ormai ben tracciata”.
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(Nelle immagini: Rav Gianfranco Di Segni e rav Riccardo Di Segni durante un incontro al Quirinale con il Capo dello Stato Sergio Mattarella; la copertina di Betzà, il sesto trattato del Talmud tradotto in italiano)
(20 dicembre 2021)