Israele, sotto tiro
e sotto processo
Tre orizzonti legati a Israele, tre ordini di informazioni giornalistiche. Tentiamo di coordinare le notizie in una prospettiva unitaria, per trarre poi qualche conclusione dal loro confronto.
A monte le cronache sull’ondata di attentati che sotto forma di aggressioni armate o di sparatorie mirate da parte di auto di passaggio è stata lanciata nelle ultime settimane contro cittadini israeliani: alcune fallite, altre purtroppo andate tragicamente a segno a Yerushalayim nei pressi del Kotel e nell’insediamento di Homesh. Ciò che inquieta maggiormente è che a lanciarsi in questi assalti omicidi non sono solo militanti di organizzazioni terroristiche, ma sempre più spesso palestinesi comuni: tra questi per esempio, in modo paradossale e paradigmatico, una donna di sessantacinque anni. Segno di una tensione crescente, di una violenza montante, di una fanatizzazione diffusa tra la popolazione dei Territori, certo create e strumentalizzate dalle cellule terroriste, fuse in una unitaria strategia offensiva nella fase in cui sembra opportuno ai vertici scatenare un attacco molteplice e coordinato contro il “nemico sionista”.
Accanto ai resoconti di questi agguati in successione e degli intensi sforzi dell’esercito israeliano per sradicare l’escalation omicida dell’ultimo mese (argomenti di cui parlano molto e con grande preoccupazione i media israeliani, quasi per niente gli organi di informazione italiani), pongo la notizia dei documenti anti-israeliani votati recentemente a larghissima maggioranza dall’Assemblea generale dell’Onu, sulla quale mi sono già soffermato qualche settimana fa. Una condanna unilaterale circa problemi locali non legati solo all’atteggiamento di Israele e assolutamente spropositata rispetto ad abnormi violazioni dei diritti umani avvenute in altre aree del globo e circondate il più delle volte da una cortina di assordante silenzio.
A fianco di questi due temi che accostati già evidenziano una preoccupante tendenza alla colpevolizzazione e all’isolamento preconcetto nei confronti di un Paese bersagliato da terrorismo indiscriminato, leggo ora dell’invito rivolto dal Comitato sui diritti umani della nostra Camera dei Deputati a due rappresentanti di sedicenti o.n.g. palestinesi (Al-Haq e Addameer) che in realtà operano anche come organizzazioni terroristiche. In particolare, Sarah Francis dovrebbe parlare a nome di Addameer – ente che in passato ha preso le difese di Samer Arbid torturatore e assassino di una comune ebrea israeliana; l’altro ospite delle istituzioni italiane, Shawan Jabarin di Al-Haq, pare affiancare l’attività di attivista sociale a quella di agente del terrore. Giustamente l’Ambasciatore di Israele ha protestato contro questo invito da parte della Presidente del Comitato Laura Boldrini, e anche la Presidente UCEI Noemi Di Segni, intervistata dal TG2, ha fatto notare che non persone conniventi con organizzazioni terroristiche ma altre dovrebbero essere le figure chiamate a parlare di diritti umani; tra queste anche personalità israeliane, che invece molto raramente sono interpellate sul tema.
Proviamo a mettere insieme e a collegare fra loro le tre questioni, solo apparentemente disgiunte: quale rappresentazione ne emerge della situazione internazionale e dell’immagine di Israele nel mondo e in Italia? E quale descrizione della condizione palestinese?
Se usiamo la lente più diffusa nell’informazione italiana ed europea, che dà un ritratto parziale e superficiale della società israeliana tacendo o minimizzando intorno all’escalation di attentati, certo Israele resta lo Stato semi-colonialista negatore dei diritti della popolazione palestinese delineato da un cliché accettato da molti: così di sicuro lo presenteranno, fra gli altri, i cortesi ospiti dell’onorevole Boldrini. Se invece ci poniamo davanti alle situazioni e agli eventi con obiettività dando il giusto peso al fatto che Israele è bersaglio del terrorismo arabo-palestinese da sempre, da ben prima della sua fondazione, e continua immancabilmente a esserlo quasi tutti i giorni, allora non possiamo non notare la prevenzione e la condanna aprioristica nei suoi confronti diffuse nel mondo, non possiamo non protestare contro la mancata denuncia delle innumerevoli violenze di cui è vittima la sua popolazione sovente inerme.
Forse secoli di antisemitismo hanno reso noi ebrei affetti da una sindrome dell’assedio e per questo ci sentiamo perennemente braccati; magari gli israeliani elevano questa sensazione all’ennesima potenza. Sarà. Però cosa fa il mondo quando palestinesi armati attaccano cittadini ebrei israeliani? Condanna Israele per abusi e controversie su un quartiere di Gerusalemme est. E cosa fa il Parlamento italiano? Invita attivisti filo-palestinesi (e filo-terroristi) a testimoniare sulle violazioni israeliane dei diritti umani. Non pare un atteggiamento imparziale e rispettoso dei diritti umani che anche i cittadini di Israele possiedono, primo fra tutti quello alla sicurezza della loro vita.
David Sorani
(28 dicembre 2021)