Guida nella teologia dantesca
Abbiamo sollevato, nelle scorse puntate, la questione dell’eventuale valore antiebraico della scelta di Dante di chiamare Giudecca la zona più bassa del più profondo cerchio dell’inferno. Una volta preso atto che quel nome, nelle intenzioni del poeta, deriva evidentemente da Giuda, considerato “il più colpevole di tutti i dannati”, e non dal “popolo giudaico” nel suo insieme, abbiamo osservato che resta comunque da chiedersi in che misura il poeta fosse consapevole che tale denominazione, inevitabilmente, era ed è destinata a veicolare odio e disprezzo verso qualcosa di più ampio di una sola specifica persona.
Per potere rispondere, appare necessario, abbiamo detto, chiedersi chi e cosa rappresentasse, per Dante, Giuda. Al riguardo, ritengo opportuno chiarire, preliminarmente, che la figura di Giuda può essere interpretata su tre diversi piani, nettamente distinti: teologico, storico e letterario.
Del secondo e del terzo livello parleremo nelle due prossime puntate, mentre oggi dedichiamo qualche riga alla posizione occupata nella costruzione teologica della Commedia.
Com’è noto, la forza di comunicazione del poema del fiorentino dipende, oltre che dal livello sublime dei versi, anche dalla geniale invenzione di una raffigurazione geometrica che, raccogliendo in un quadro ordinato e perfetto tutte le anime del passato, prossimo e remoto (e anche, in alcuni casi, del presente: Bonifacio VIII e lo stesso Dante hanno già i loro posti prenotati nell’aldilà), siano esse di personaggi reali o di fantasia, offre una sintesi grandiosa di tutto ciò che riguarda l’uomo e la natura in cui egli è chiamato ad agire. Molte edizioni della Commedia, molti testi di approfondimento, molte mappe didascaliche, molte versioni ridotte per ragazzi e per bambini (apparse numerose in quest’anno del centenario) contengono dei disegni illustrativi, raffiguranti la voragine sotterranea dell’Inferno, la montagna del Purgatorio e i cieli del Paradiso che raccolgono le varie anime, assegnate, in base alle proprie responsabilità e ai propri meriti, secondo un ordine preciso e razionale, ai loro specifici luoghi di dannazione, emenda e beatitudine.
Difficile, tanto per un adulto quanto per un bambino, non restare affascinati innanzi a questo quadro mirabile, a un disegno che ha l’incredibile ambizione di racchiudere tutto. Perché nulla che interessi l’uomo – ovviamente, l’uomo dei tempi e dei luoghi di Dante – è fuori dalla Commedia, nella quale confluiscono filosofia, epica, storia, geografia, astronomia, diritto, poesia, religione, retorica, mitologia. Tutto.
Quella di Dante è una filosofia (in particolare, quella aristotelica e tomistica) illustrata. La Commedia non è solo arte poetica, ma anche arte figurativa.
Nella realizzazione dell’opera, impegno fondamentale del poeta è sicuramente stato quello di collocare ogni personaggio, ogni evento nella sua giusta sede. Ed è certo, a mio avviso, che in molte occasioni egli deve essere stato in dubbio non solo riguardo alle scelte di quali figure inserire e quali tralasciare, ma anche a proposito delle collocazioni da assegnare. Possiamo immaginare, per esempio, che il poeta abbia meditato a lungo sulla decisione se inserire nel poema Saladino, Cavalcante, Brunetto Latini, Ulisse, Catone, Manfredi e tanti altri, e poi riguardo al posto da assegnare loro. E lo stesso dubbio certamente avrà avuto per personaggi che sono stati esclusi. C’è, per esempio, nella Commedia, un’assenza clamorosa, quella di Ponzio Pilato (l’idea che si possa identificare il prefetto di Giudea in “colui/ che fece per viltade il gran rifiuto”, tormentato nell’Antinferno degli ignavi [Inf. III. 59-60], è certamente sbagliata, come avremo modo di argomentare in seguito). E, nelle scorse puntate, abbiamo trattato del caso di Pantaleone, autore del mosaico pavimentale del Duomo di Otranto. Diversamente dal parere (a cui, ovviamente, guardo col più profondo rispetto) che fu formulato da mio padre Bruno, ho detto di non credere che Dante abbia mai visitato Otranto e abbia visto il cd. “albero della vita”, proprio perché, in caso contrario, avrebbe verosimilmente menzionato nel poema il grande monaco artista. Ma nel caso mio padre (e coloro che hanno creduto alla sua ipotesi, come Grazio Gianfreda) avesse ragione – cosa certo possibile -, può darsi che tale mancata menzione dipenda proprio dall’incertezza riguardo alla collocazione da riservare a Pantaleone: Inferno, Purgatorio, Paradiso? Ci sarebbero ottimi motivi a favore e contro ciascuna di queste tre opzioni.
Ebbene, un tale dubbio Dante può averlo avuto, nei confronti di Giuda, esclusivamente riguardo alla decisone se inserirlo, oppure no. Anche lui, come Ponzio Pilato, avrebbe potuto restare fuori dal poema, per ragioni di ordine teologico o artistico. Ma, una volta deciso che doveva essere citato – scelta, almeno in teoria, certamente logica -, la sua collocazione non poteva che essere quella. Nella Commedia di Dante tutto, ma proprio tutto, ruota intorno alla figura di colui che il cristianesimo reputa il figlio di Dio e alla sua missione soteriologica. Tutto il mondo, tutto l’universo, tutto il passato, il presente e il futuro.
Giuda era considerato colui che aveva colpito questo “centro di tutto”. La sua posizione, perciò, nell’immensa sfera dell’Inferno, a sua volta interna alla sfera, ancora più immensa, del Paradiso, non poteva non essere là: nella bocca centrale del principe delle tenebre, seduto al centro della Giudecca, al centro della Terra, al centro dell’Universo. Il centro del centro.
Francesco Lucrezi
(29 dicembre 2021)