Antisemitismo in salsa cilena

Alla vigilia delle elezioni in Cile, quando è apparso chiaro che i due candidati che riscuotevano il maggior numero di consensi erano il conservatore Josè Antonio Kast e il progressista Gabriel Boric, in Europa le maggiori simpatie andavano a quest’ultimo, anche perché il candidato conservatore aveva manifestato nostalgie per il periodo di Pinochet.
Ma, una volta eletto, Boric ha mostrato un volto non diverso da quello delle sinistre radicali, in particolare in America. Per queste sinistre un segno di riconoscimento è l’ostilità verso Israele, un’ostilità di principio, che prescinde dal concreto modificarsi della situazione politica e in particolare prescinde da un evento che ha cambiato in profondità il quadro del Medio Oriente come gli Accordi di Abramo. Ma Boric è andato oltre. Oltre che nei confronti di Israele la sua ostilità si è rivolta anche verso gli ebrei cileni, rei di sostenere lo Stato d’Israele. È una posizione particolarmente grave, che rientra nei casi previsti dalla definizione di antisemitismo formulata dall’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance), a cui ha aderito anche il Governo italiano.
La definizione di antisemitismo formulata dall’Ihra è corredata da una serie di esempi, due dei quali rientrano proprio nelle accuse fatte da Boric agli ebrei cileni. Il primo esempio riguarda i rapporti tra i cittadini ebrei di un determinato Paese e lo Stato d’Israele e afferma che è espressione di antisemitismo “considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato d’Israele”. Il secondo esempio afferma che è espressione di antisemitismo “accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele o a presunte priorità degli ebrei nel mondo che agli interessi della propria nazione”. Le accuse di Boric rientrano perfettamente in entrambi gli esempi formulati dall’Ihra e ci fanno capire, anche al di là del caso cileno, come sia facile passare dall’ostilità politica verso Israele a una posizione decisamente antisemita.
Quanto accade in Cile ci riguarda direttamente e dovrebbe essere oggetto di riflessione per tutti coloro che ancora cercano di distinguere tra antisemitismo e antisionismo. È infatti frequente il caso di persone che compuntamente negano di essere antisemite e affermano che le loro posizioni sono “soltanto” antisioniste. In realtà dopo la nascita dello Stato d’Israele l’antisionismo significa soltanto un’ostilità preconcetta contro lo Stato ebraico; e, come si vede dagli esempi dell’Ihra, è assai facile scivolare verso posizioni decisamente antisemite.
È quello che è avvenuto in molti Paesi europei e negli Stati Uniti, dove la diffusione del “politicamente corretto” e l’antirazzismo a senso unico hanno creato le basi per l’affermarsi nei partiti di sinistra di una cultura che vede nell’esistenza stessa dello Stato d’Israele l’origine di tutti i mali; una cultura che, come si è visto, può condurre facilmente verso l’antisemitismo. Non si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo: tutta la storia della sinistra è segnata da questo rischio, che in alcuni momenti, come negli anni ‘30 del Novecento, si è realmente concretizzato. Imboccata questa strada è assai difficile tornare indietro; nel nostro tempo abbiamo un solo caso di un partito che ha saputo correggere la propria posizione: è quello del partito laburista britannico, che con Keir Starmer ha saputo rovesciare le posizioni di Jeremy Corbyn. Altrove, in particolare in Italia, l’ambiguità resta. L’esempio del Cile può servire a far riflettere molti sul rischio dello scivolamento da un presunto antisionismo a un sicuro antisemitismo.

Valentino Baldacci