La comunità mediterranea

“Il Mediterraneo è rotto” afferma lo storico David Abulafia nelle prime pagine di “Tevere controcorrente” (2019), saggio del giornalista Marzio G. Mian.
Luogo d’incontro tra culture e kosmos inimitabile, secondo lo storico britannico di origini sefardite, il Mediterraneo “dagli anni Cinquanta non è più centro di gravità della storia, luogo dell’ordine che reggeva le differenze. Oggi è solo una frontiera, una tremenda barriera d’acqua”.
“Si è gettata la chiave del successo, la coesione tra tre continenti”, continua Abulafia. “L’Europa meridionale ha investito tutto sul settentrione, girando le spalle a un mare che per quanto sia ancora attraversato dai principali traffici di merci sta morendo di veleni e pesca industriale […] Forse però il vero sperpero, più che economico, è immateriale. Se globalmente siamo sempre più individualisti, l’individuo di oggi non esiste senza lo sguardo degli altri, e il Mediterraneo poteva, può essere una miniera di umanesimo, di pratiche arcaiche e comunitarie per risolvere l’ansia contemporanea da esclusione. Penso al rito tribale della passeggiata, assolutamente inutile, perché non ci si muove per interesse, ma solo per conversare e sentirsi vivi”.
Per Abulafia forse non è troppo tardi per “conservare lo spirito di Enea, della comunità mediterranea” tornando alle rotte dei nostri avi i quali univano le sponde del grande mare.

Francesco Moises Bassano

(31 dicembre 2021)