Normalità

Un romanzo che parla di ebrei italiani durante le vacanze natalizie: La figlia unica di A. B. Yehoshua sembra proprio il libro perfetto da leggere in questo periodo dell’anno. Eppure confesso di averlo avvicinato con una certa diffidenza, che non sono riuscita del tutto a superare, di fronte a uno scrittore israeliano che ha voluto raccontare il mio mondo. In realtà la realtà descritta è abbastanza lontana dalla mia, dato che si parla di una protagonista dodicenne con i nonni materni non ebrei in una piccola città quasi del tutto priva di una comunità ebraica, e per di più la vicenda è ambientata più di vent’anni fa; senza contare che si tratta di una famiglia molto benestante (e anche questo, confesso, mi ha messo un po’ a disagio, perché sembra voler confermare uno stereotipo). Naturalmente queste mie considerazioni non hanno niente a che fare con la qualità letteraria del libro, che non deve certo essere giudicata in base alla maggiore o minore verosimiglianza dei fatti narrati o dell’ambiente descritto (altrimenti cosa faremmo dei romanzi storici, dei fantasy o della fantascienza?)
Non sono riuscita a fare a meno di pensare che si tratta dello stesso autore di Elogio della normalità. E forse la diffidenza dell’autore nei confronti dell’ebraismo diasporico ha alimentato un po’ la mia diffidenza. Nel passaggio in cui si parla della discendenza degli italiani dai Romani come di un’informazione non scontata, quasi bizzarra, proveniente dal lato non ebraico della famiglia ho avvertito la fatica di un israeliano che si sforza di mettersi in panni non suoi e immagina come debba essere strano e paradossale sentirsi contemporaneamente discendenti delle vittime della distruzione del Tempio di Gerusalemme e dei Romani distruttori. In realtà anche noi ebrei italiani, come tutti gli italiani, siamo cresciuti sentendoci discendenti dei Romani; personalmente nei mesi vissuti in Israele non ho sentito affatto affievolirsi questa percezione, anzi, direi che era ancora più viva e si è manifestata in molte occasioni, dal piacere di visitare i resti romani alle discussioni sulle parole neolatine presenti nell’inglese. Dunque per noi ebrei italiani questo paradosso è la normalità: per quanto possa apparire contraddittoria la nostra identità è questa e non ne abbiamo un’altra. Così come per noi è normalità essere minoranza, far festa quando gli altri non festeggiano e approfittare piacevolmente delle feste degli altri per godere di cinema, teatri, piste da sci, ecc. quasi completamente vuoti. Fare festa quando tutti fanno festa nella nostra percezione non sarebbe affatto la normalità.
Anche il modo italiano di vivere l’ebraismo è fatto di normalità che in Israele o altrove forse non sarebbero altrettanto normali, per esempio avere a che fare continuamente con ebrei molto più o molto meno osservanti di noi e imparare fin da piccoli a stare tutti insieme nelle stesse Comunità, negli stessi gruppi giovanili e nelle stesse istituzioni. E questa è una normalità tutt’altro che paradossale e contraddittoria, che merita di essere difesa e possibilmente anche esportata.

Anna Segre

(31 dicembre 2021)