La Memoria e il sogno
La prima volta che ci siamo incontrati faceva freddissimo, era la fine di gennaio ed eravamo a Genova, nel cortile del Palazzo Ducale. Si leggeva un libro di Aharon Appelfeld per intero, Storia di una vita. “Dall’alba al tramonto” si chiamava l’iniziativa, maratona del ricordo attraverso la letteratura, ma anche attraverso il freddo e la fatica, che nessuno però dei presenti si sentiva autorizzato a manifestare, data l’instancabilità della persona più anziana e apparentemente fragile, il promotore e conduttore, l’ideatore e organizzatore della lettura, Piero Dello Strologo, il Presidente del Centro culturale Primo Levi di Genova. Era l’inverno di tre anni fa, mancava ancora un anno esatto all’inizio della pandemia e i progetti c’erano ancora. Piero stava in piedi, amministrava le letture, i lettori e le lettrici che si alternavano, qualche pagina a testa, per compiere un rito, tributare un omaggio, offrire qualcosa di sé – qualche grado centigrado di temperatura corporea e un po’ di voce – alla memoria degli assassinati e degli esiliati, dei distrutti dalla Shoah e delle loro generazioni recise. Piero, che era bambino al tempo del rastrellamento degli ebrei di Genova il 3 Novembre ’43 e che si era salvato riparando con la famiglia in Svizzera, aveva un approccio al tema della Memoria della Shoah che lo portava a coinvolgere, a rendere partecipi. Chiunque passasse quella domenica mattina fra i cortili e le stanze di Palazzo Ducale avrebbe ascoltato una sillaba, una pagina, una parola dello scrittore ebreo di Czernowitz, forse alcuni addirittura si sarebbero offerti di leggere a loro volta. Un’idea semplice e perciò geniale: leggere e far leggere, far ascoltare e ascoltare, stare assieme a lungo o per poco. Lui accoglieva tutti con un sorriso serio, faceva sentire parte di una cosa importante ma con leggerezza e stile, senza dimenticare che là fuori c’era un mondo, splendeva il sole (ventoso, ma pur sempre sole), i bar erano pieni e aperti ed essendo quasi ora di pranzo forse c’era anche tempo per un aperitivo. L’amore per la vita, il sorriso pronto a proporre o cogliere una battuta di spirito purché non malevola, mai distruttiva, la felicità di scoprire cose nuove sempre, interrogare tutti e tutto per lasciarsi sorprendere e incuriosire: questo mi aveva attratta in Piero subito quella domenica mattina. Come avrebbe detto poi lui scherzando più volte: “Quel primo giorno ci guardavamo un po’ tutti e due circospetti, ci fiutavamo e studiavamo sospettosi…”. Io in realtà ho un ricordo un po’ diverso: cercavo di convincerlo a prendere un mio progetto complicato e nebuloso per la Festa del Libro piccolo, altra manifestazione guidata da lui, un festival letterario che si sarebbe svolto di lì a qualche mese, in primavera. Girammo una stanza dopo l’altra tutto il Ducale, discutendo la mia idea e cercando uno spazio adatto a metterla in scena: non era convinto, forse non lo ero neppure io, quanto meno non sicura. Passarono i mesi e da quel primo incontro non nacque nulla. Non ancora. Mezzo anno più tardi mi chiamò per parlare del mio progetto musicale sul Bund, Messia e Rivoluzione; in puro stile Piero (ho riletto ora la mail) diceva: “Ciao Miriam, il progetto sul Bund è molto bello. Siamo interessati a farlo. Bisogna decidere dove, quando e a che costi. Complimenti. Piero”. Poche parole e non una di troppo: nasceva così un rapporto di lavoro che molto presto sarebbe diventato una amicizia e un legame forte. Il concerto fu l’ultimo appuntamento dal vivo del Primo Levi: inizio febbraio 2020.
Pochissimi mesi dopo l’inizio della pandemia, quando molte istituzioni e associazioni ancora si chiedevano come impiegare il tempo sospeso nell’attesa di poter tornare fuori “dall’arca”, muovere di nuovo passi all’asciutto, il più che ottantenne Piero capì che non era il caso di aspettare, bensì di agire nel qui e ora e con quel che c’è; con appena una o due riunioni via zoom mettemmo a fuoco un’idea ancora una volta semplice e per questo efficace: delle “chiacchierate in poltrona” (così le definì) su un tema a mia scelta, purché ebraico. Nacque come un sogno, anzi: con una video-lezione sul sogno una serie che sarebbe arrivata fino alle Donne dell’Esodo, passando per i miti del Golem e il testo teatrale del Dybbuk, il teatro e la musica, molte pagine di Talmud, tutte o quasi le feste ebraiche, personaggi della Genesi e niggunim chassidici, ancora una volta il Bund e le sue canzoni, la musica degli ebrei orientali e l’infinito ritorno dell’uguale: Had Gadyah, il canto pasquale.
La guida e le idee, gli incoraggiamenti e i consigli, i complimenti e le spinte a fare meglio: assieme a tante e tanti devo moltissimo a Piero Dello Strologo, sia il suo ricordo benedizione. Senza di lui la pandemia sarebbe stata infinitamente più triste, oscura e monotona, buia e inutile. Meno di un mese fa l’ho chiamato, dal monastero di Camaldoli: mi ha elencato una quantità di progetti e curiosità, domande – soprattutto domande – a cui si proponeva di continuare a cercar risposta. Continuiamo a cercarla.
Miriam Camerini
(2 gennaio 2022)