“Fascismo e violenza ci minacciano,
agiamo ora per salvare la democrazia” 

“I pregiudizi e gli insulti possono sembrare insignificanti, ma se non controllati, possono progredire in aggressioni prolungate, discriminazione sistematica, atti di violenza, disordini di massa e, infine, il tipo di conflagrazione brutale che tutti noi rabbrividiamo ad immaginare. Per quanto possa essere allettante ignorare l’odio o trattarlo come il problema di qualcun altro, lo facciamo a nostro rischio e pericolo. La prospettiva di una violenza diffusa e di un genocidio sembra improbabile, persino impensabile – finché non lo è più”. È l’allarmato monito con cui si conclude It could happen here, libro-denuncia firmato da Jonathan Greenblatt, dal 2015 alla guida dell’americana Anti-Defamation League (ADL), in cui si parla del rischio che corre la democrazia Usa tra derive autoritarie e violenta intolleranza. Uscito in questi giorni nelle librerie degli Stati Uniti e consegnato in anteprima in Italia a Pagine Ebraiche, It could happen here (Potrebbe accadere qui) fotografa, proprio nell’anniversario dell’assalto a Capitol Hill, il pericolo che sta correndo la più antica democrazia del mondo. Il titolo è un richiamo al libro dello scrittore statunitense Sinclair Lewis, Qui non è possibile (It Can’t Happen Here): romanzo distopico scritto nel 1935 in cui Lewis immaginava l’arrivo al potere di un leader populista che, vinte le elezione alla presidenza, imponeva una forma di fascismo negli Stati Uniti. A quasi un secolo di distanza, Greenblatt oggi scrive: “Nessuno di noi vuole credere che l’America possa finire come la Germania negli anni ’30. Come l’autore americano Sinclair Lewis intitolò ironicamente il suo romanzo del 1935 – pubblicato prima che l’intero orrore di Hitler diventasse evidente – Qui non è possibile. Ancora oggi nessuno vuole credere che illiberalismo, fascismo e violenza possano svilupparsi sulle nostre coste”. Eppure, denuncia il numero uno dell’ADL, negli Stati Uniti di oggi ci sono tutti gli elementi per temere il peggio. Il libro racconta, attraverso gli episodi raccolti dall’organizzazione guidata da Greenblatt, come nell’era della presidenza Trump si sia assistito a una evidente riemersione del suprematismo bianco negli Usa. “È difficile sottovalutare la spinta organizzativa che suprematisti bianchi, gruppi anti-immigrati, neonazisti, nazionalisti bianchi e altri hanno ricevuto durante gli anni di Trump, quando la loro ideologia è stata tollerata e talvolta apertamente incoraggiata da funzionari ai più alti livelli”, scrive Greenblatt, che aveva evidenziato questa situazione anche in un’intervista a Pagine Ebraiche proprio pochi giorni prima dell’attacco del 6 gennaio 2021. “I gruppi d’odio ed estremisti sono cresciuti in termini numerici durante l’amministrazione Obama, in gran parte a causa della reazione razzista degli Stati Uniti all’elezione del loro primo presidente nero. – la fotografia che aveva fatto allora – L’elezione di Donald Trump nel 2016 è servita per certi versi a far capire a molti estremisti di destra che le loro idee non erano così marginali come avrebbero potuto pensare. Se a ciò si aggiunge la retorica divisiva e provocatoria del Presidente, nonché le politiche anti-immigrazione, ciò non fa che rafforzare ulteriormente questa idea. Aggiungete il fatto che sotto l’amministrazione Trump le priorità e i finanziamenti del Dipartimento per la sicurezza interna si sono spostati massicciamente verso il terrorismo islamico straniero.. L’attuale rinascita dell’estremismo di destra non può essere uno shock per chi ha prestato attenzione”.
Dalle manifestazioni di Charlottesville alla strage alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, Greenblatt mette in fila i diversi episodi di antisemitismo e non solo che hanno scosso l’America in questi anni. Punta il dito contro i social network, ribadendo un suo cavallo di battaglia: Facebook, Twitter e gli altri non facciano più da cassa di risonanza per gli haters, non usino più l’odio per monetizzare.
La sua attenzione non si rivolge però solo all’estrema destra. “Abbiamo visto un allarmante aumento delle forze dell’odio all’interno dell’estrema sinistra politica. Forze che spesso sembrano riunirsi intorno a un’intolleranza irrazionale e ossessiva verso Israele e che prendono di mira tutti i sostenitori dello Stato ebraico”. Tra gli esempi portati, il movimento che chiede il boicottaggio d’Israele così come personaggi profondamente inquietanti come Louis Farrakhan, che hanno ottenuto il sostegno di eletti tra le fila democratiche. Ogni volto dell’intolleranza, scrive Greenblatt, non deve essere sottovalutato e chiede un intervento congiunto su più livelli.
“Si potrebbe pensare che il governo debba assumersi la maggior parte della responsabilità. Diamo all’FBI il potere di infiltrarsi nei gruppi estremisti prima che colpiscano. Chiediamo che i tribunali considerino i social media responsabili della diffusione dell’odio. Mobilitiamo le forze dell’ordine locali e la magistratura per assicurare che gli autori di crimini d’odio siano arrestati e puniti. Possiamo e dobbiamo fare tutti questi passi. Ma nonostante il suo potere e la sua autorità, il governo federale non può risolvere questo problema da solo”, si legge in un passaggio finale del libro. “Abbiamo bisogno di una strategia ‘dell’intera società’, attivando una vasta gamma di attori a tutti i livelli di governo e nel settore privato per respingere l’intolleranza. Più di tutto, dobbiamo mobilitarci come individui per contrastare l’odio quando lo vediamo, modellare i valori di tolleranza e inclusione, e servire come alleati per coloro che sono vittime del pregiudizio. Lincoln potrebbe aver avuto ragione sul fatto che la più grande minaccia alla democrazia americana – e, per estensione, ai gruppi emarginati in America – sono gli americani stessi. Ma io sosterrei che noi siamo anche l’ultima protezione contro quella minaccia. Ognuno di noi rischia di perdere se gli odiatori prevalgono”.