Periscopio – Dietro a un nome

Abbiamo affermato, nella nostra nota di mercoledì scorso, a proposito della collocazione di Giuda nell’Inferno dantesco, che la figura dell’apostolo traditore deve essere analizzata su tre livelli distinti: teologico, storico e artistico. Dopo avere trattato, la scorsa puntata, del primo livello di lettura, e in attesa, mercoledì prossimo, di affrontare il tema delle varie raffigurazioni dell’Iscariota sul piano dell’arte, svolgiamo, in questa occasione, qualche breve riflessione sull’approccio storico al personaggio, in particolare nell’ottica dantesca.
Vanno fatte, a riguardo, due considerazioni preliminari.
La prima è che, per Dante, non esiste una ricostruzione storica svincolata dal disegno artistico e teologico, che, per lui, è l’unico a contare. Tutto ciò che è raffigurato nella Commedia esiste ed ha senso esclusivamente sul piano del messaggio poetico e religioso del poema, e non c’è assolutamente alcuna differenza nella descrizione della sorte assegnata a personaggi storici, realmente esistiti (decisamente la maggioranza: Aristotele, Platone, Cesare, Francesca, Catone, Tommaso, Giustiniano ecc.) e quella riservata a figure frutto di creazione letteraria, religiosa o mitologica (come, per esempio, Adamo, Elena, Ulisse, Diomede, Flegias, Eritone, Proserpina ecc.). Tutti hanno ugualmente valore per quel che significano sul piano della realizzazione del disegno di salvezza, così come da Dante concepito, conformemente allo spirito del suo ambiente e del suo tempo.
La seconda è che, per quanto strano possa apparire, una riflessione storica sulla figura di Giuda, così come su quella di Gesù, non c’è mai stata, in passato, fino ad epoche molto recenti. Al di là di alcune rare eccezioni, e dal valore alquanto marginale, infatti, è solo a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, quindi poco più di mezzo secolo fa, che, è iniziata (superando non poche resistenze da parte di consolidate consuetudini accademiche) un’investigazione storiografica di tipo scientifico (ossia sganciata da considerazioni di ordine teologico) sulle vicende della vita, del processo e della morte di Gesù, così come narrate nei Vangeli canonici e apocrifi (perché altre testimonianze affidabili, com’è noto, non ce ne sono) e come indirettamente ricostruibili sulla base delle nostre conoscenze sulla situazione della Giudea romana degli anni 30 E.V. Ricordiamo unicamente i nomi di studiosi quali Blinzler, Catchpole, Cohn, Imbert, Jossa, Miglietta, Rabello, Winter e non molti altri.
Su Giuda, poi, ancora meno, Antonio Landi è probabilmente l’unico che abbia a lui dedicato una specifica riflessione di tipo storiografico. E su tale personaggio, comunque, non sappiamo quasi niente, né nulla aggiunge il cd. “Vangelo di Giuda”, del secondo secolo, scoperto nel 1978, e pubblicato da National Geographic nel 2006, che lo descrive come l’apostolo più leale e prediletto, morto lapidato proprio per la fedeltà mostrata al suo Maestro (un testo dall’evidente tenore apologetico, probabilmente scritto, com’è stato ipotizzato, per riabilitare il popolo di Giudea dall’infamante accusa, che iniziava a essere propalata, di avere collettivamente provocato la morte del figlio di Dio). Che vuol dire l’appellativo ‘Iscariota’? Appartenente alla setta dei sicarii, proveniente dalla città di Kariot, o altro? Chi era, cosa voleva, perché avrebbe ‘consegnato’ Gesù ai Romani? Non lo sappiamo e, verosimilmente, non lo sapremo mai. Personalmente, come ho avuto modo di argomentare in altra sede, nutro consistenti dubbi sul fatto che Giuda sia veramente esistito, o, almeno, che si sia chiamato così: troppo singolare la coincidenza del fatto che lo spregevole traditore portasse, guarda caso, il più ‘ebraico’ tra i nomi dei dodici apostoli. Sarebbe stato indubbiamente più arduo costruire la cattedrale dell’antisemitismo cristiano, piuttosto che su un Giuda, su un Andrea, un Giacomo, un Giovanni, un Bartolomeo.
Ma Dante, possiamo chiederci, si è mai posto la domanda riguardo alla effettiva realtà storica di Giuda? Se è mai chiesto se sia effettivamente esistito, cosa abbia veramente fatto?
A questa domanda la risposta non può non essere decisamente negativa. No, non si è mai posto siffatte domande, per il semplice motivo che, nella cultura dominante del suo tempo (e anche in quella dei secoli successivi, almeno fino al XIX secolo, se non oltre), non era assolutamente concepibile una ‘verità’ storica distinta dalla ‘verità’ di fede. Il racconto evangelico era la “Verità” per eccellenza, l’unica ammissibile, cercarne, o solo immaginarne un’altra, era inconcepibile, così come non avrebbe avuto senso ‘integrare’ tale racconto con notizie storiche attinte da altre fonti. Ed è del tutto assente, inoltre, nella Commedia, una narrazione diacronica delle azioni umane: tutti i comportamenti degli uomini, dalla creazione del mondo fino ai giorni in cui il poema veniva scritto, sono collocati sul medesimo piano, orizzontale e metatemporale, del giudizio divino.
Si può dire, quindi, che, per Dante, un “Giuda storico” non sia mai stato considerato. Quello stritolato nella bocca centrale di Lucifero è l’enigmatico personaggio menzionato dai Vangeli, di cui così poco sappiamo, e nessun altro.
Aveva importanza, per il poeta, il fatto che egli fosse ebreo? No, assolutamente. Anche Gesù lo era, così come sua madre, il suo “padre putativo” e tutti gli altri apostoli. E quel nome, Giuda, non fu certo scelto da lui.

Francesco Lucrezi