Ticketless – Lunga vita
al dottor Shahar

Israele vista dall’Italia. Capitolo nuovo di una storia che continuamente si rinnova. Archiviato il discorso su Moretti e la resa cinematografica del romanzo Tre piani di Eshkol Nevo, rimane ancora in primo piano il caso Eitan, poco allegro sotto ogni punto di vista. Vorrei oggi aprire un terzo fronte. Più leggero. E vorrei ad alta voce pronunciare l’elogio del dottor Arnon Shahar, responsabile del piano vaccinale di Israele, ospite fisso di molti talk shaw, della Rai, di La 7, di Mediaset, adorato e conteso da conduttori sovranisti e progressisti. Mi piace il dottor Shahar, immagino abbia studiato in Italia negli anni in cui facevo l’università. Ne ho conosciuti tanti di studenti di medicina che arrivavano a Torino, Milano, Pavia. Arnon parla l’italiano con un accento che ci è famigliare, va diritto alla sostanza, ogni tanto gli si vede un tenue e malcelato sorriso. Si capisce benissimo che si fa gioco dei timori degli intervistatori, ne intuisce la fragilità e il pressapochismo. Conosce bene il nostro paese, s’impegna per rassicurarci. Il Bel Paese deve avergli lasciato dei bei ricordi. L’immagine d’Israele in Italia è un concatenarsi di immagini iconiche, a partire dall’occhio bendato di Dayan nel 1967. Può fare molto Arnon, per rialzare il tasso di gradimento nell’opinione pubblica di un paese che da qualche mese ha visto come funziona la sanità in Israele. Come Akiva nella serie Shtisel ha fatto tanto per risollevare l’immagine del mondo degli ortodossi, così Arnon assolve a un compito analogo: ci spiega l’abc, fuga paure inutili, un po’ come il maestro Manzi ci invitava a pensare che non è mai troppo tardi.

Alberto Cavaglion