Orgogliosi di essere israeliani, ma preoccupati per le tensioni interne

Il punto di partenza rimane la generale soddisfazione di vivere in Israele, con una grande maggioranza di cittadini che si dice orgogliosa di essere israeliana e non vuole trasferirsi in un altro paese. Dall’altro lato, la società percepisce come più profonde le divisioni interne e ripone sempre meno fiducia nelle istituzioni. Ad evidenziarlo, l’ultima indagine dell’Israel Democracy Institute dedicato a fotografare i sentimenti dei cittadini d’Israele rispetto alla loro vita nel paese. Un rapporto importante i cui risultati, ha dichiarato il Presidente dello Stato Isaac Herzog nel presentarlo, sono profondamente preoccupanti. In particolare, la caduta della fiducia nelle istituzioni politiche che ha toccato il minimo storico da quando, diciannove anni fa, è iniziata l’indagine. Solo il 10 per cento degli intervistati – divisi tra ebrei e arabi – ha detto di avere fiducia nei partiti; il 21 nella Knesset e il 27 nel governo. “Nessuno stato può esistere se i suoi cittadini non hanno fiducia in esso e nelle sue istituzioni. La fiducia dei cittadini è la risorsa più importante che qualsiasi sistema o istituzione statale ha, e il suo declino prolungato è un segnale d’allarme per tutti noi”, il preoccupato commento di Herzog. Per il Presidente il costante contrasto tra i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e alcune critiche pretestuose hanno aggravato l’allontanamento dei cittadini dalle istituzioni. “Quando lo scontro sostituisce cooperazione e collaborazione, i risultati sono evidenti. Ma bisogna chiarire che questo non è una situazione definitiva. Possiamo e dobbiamo agire diversamente”.
Il sondaggio è stato condotto durante un anno che ha segnato la fine dell’era di Benjamin Netanyahu e l’arrivo di un nuovo governo di coalizione, dopo quattro elezioni in due anni, guidato dal nuovo primo ministro Naftali Bennett e che include un partito arabo per la prima volta in decenni.
Andando a guardare i dati della ricerca, meno di un terzo degli israeliani (33 per cento ebrei, 25 arabi) pensa che la situazione generale di Israele possa essere classificata come “buona” o “molto buona” – la valutazione più bassa degli ultimi dieci anni. Un giudizio, evidenziano gli analisti, ovviamente segnato dalla pandemia. Ma c’è comunque fiducia nel futuro del paese, con il 63 per cento totale degli intervistati che si dice ottimista (67 ebrei e 42 arabi). Un dato, in chiave ebraica, rafforzata da un 84 per cento di ebrei che si dice orgoglioso di essere israeliano. Tra gli arabi un dato invece profondamente in calo rispetto al 50 per cento raggiunto nel 2018: nel 2021 solo il 27,5 ha condiviso questo orgoglio. Entrambi i gruppo condividono in ogni caso l’idea che Israele sia un buon posto dove vivere: 76 per cento degli ebrei e il 66 degli arabi. Ancor più emblematico il dato alla domanda: “Se potesse ottenere la cittadinanza in un paese occidentale, preferirebbe vivere lì o rimanere in Israele?”. Qui addirittura gli equilibri si modificano: il 70 per cento degli ebrei e ben l’81 degli arabi preferirebbe rimanere a vivere in Israele. Un elemento da tenere a mente soprattutto a fronte di come, rispetto al rapporto tra settore arabo (che rappresenta il 20 per cento della popolazione) e istituzioni, tutti i dati indichino bassa o poca fiducia del primo rispetto alle seconde. Seppur con alcuni cambiamenti: nel complesso, infatti, la ricerca mostra come tra gli arabi israeliani, i livelli di fiducia nel governo e nella Knesset siano leggermente aumentati rispetto all’anno precedente. La presenza nella coalizione di governo di Raam ha certo aiutato questo lieve miglioramento.
Dall’altro lato il segno lasciato dalle violenze del maggio 2021 – sinagoghe bruciate, linciaggi e scontri mentre infuriava il conflitto con Hamas – è evidente. Per la prima volta dal 2016, la maggiore fonte di tensione all’interno del paese, secondo gli intervistati, è tra ebrei e arabi piuttosto che tra destra e sinistra.
Rimane alta la preoccupazione dell’opinione pubblica per la stabilità democratica del paese, con il 44 per cento degli ebrei e addirittura il 71 degli arabi che la vedono in pericolo. Un dato che si scontra però con quello opposto legato all’idea di “un leader forte che non consideri la Knesset, la stampa o l’opinione pubblica” quando prende decisioni. Il 57 per cento degli israeliani (55 ebrei – 61 arabi) auspica una figura di questo tipo. Se quindi ci si dice preoccupati per la democrazia, dall’altro prevale lo scetticismo verso i suoi elementi strutturali (il parlamento, ma anche la stampa).
“Il fatto che stiamo assistendo a un declino della fiducia nelle istituzioni della democrazia israeliana – rileva Yohanan Plesner, presidente dell’Israel Democracy Institute – è preoccupante. Sarebbe saggio da parte della nostra leadership prendere atto di questa realtà e fare buon uso dei dati forniti dall’Indice di Democrazia quando si pianificano le politiche pubbliche”.

dr