Bambi, una tesi non nuova

Princeton University Press annuncia che dal 18 gennaio 2022 avremo – volendo – una nuova traduzione dall’originale tedesco di “Bambi”, l’opera di Felix Salten del 1923, tradotta da Jack Zipes, il quale ne cura anche l’introduzione, mentre le illustrazioni sono di Alenka Sottler. Il titolo è: Felix Salten, The Original Bambi, The Story of a Life in the Forest, Princeton University Press, New Jersey, 2022 e la si può prenotare fin d’ora.
Nella citata introduzione, si dice che “letto nella sua lingua originale, e nel suo contesto storico e sociale, Bambi è, se non altro distopico e incline alla riflessione, perché mette in evidenza i tagliagole di cui sono vittime le persone indifese cacciate e perseguitate per sport”, mentre sarebbe “perverso” il modo in cui Disney “addolcisce” la “testimonianza storica di (Felix) Salten”.
Questa versione è stata abbondantemente annunciata dalla stampa. L’ottimo Times of Israel del 26 dicembre 2021 titola “Una nuova traduzione di ‘Bambi’ presenta il racconto quale allegoria del precoce antisemitismo austriaco”.
Intendiamoci, se si tratta sicuramente di una bella iniziativa, non è altrettanto sicuro che sia una novità. Ad esempio, in un bell’articolo del 13 agosto 2012, Anna Foa su Moked, molto informata e meglio attrezzata, non disse nulla di molto diverso da quanto oggi appare come un velo squarciato.
Dell’argomento se n’era già disquisito, nelle sedi appropriate da noi compulsate, nel 2003, nel 2007, nel 2011, nel 2014 e nel 2015, mettendo sempre in evidenza che Bambi è un’allegoria della persecuzione degli ebrei e che vi trova posto anche il sionismo, confrontando il “luogo sicuro” ivi menzionato con l’itinerario politico dell’autore.
Non è il primo “attacco” alle versioni disneyane. Ariel Dorfman, un ebreo cileno, scrisse assieme ad Armando Mattelart, Come Leggere Paperino. Ideologia e Politica nel Mondo Di Disney (Feltrinelli, 1972). Nel caso di Bambi, la contestazione non parrebbe destituita di fondamento, laddove si asserisce che la precedente traduzione (e la versione) in inglese non siano del tutto precise; ma anche questo aspetto è stato oggetto di un meticoloso studio nel 2015 che, a sua volta, citava lavori precedenti.
È vero che questa materia s’inserisce nel filone “le cose non stanno come pensate”, ma è pur vero che, se le cose stessero come si pensa, sarebbe inutile perdere tempo con lo studio. Piuttosto, sarebbe bene appurare se le presunte novità siano tali. Per esempio, in questo caso, sarebbe bastato esaminare la bibliografia disponibile oppure rovistare nei vecchi numeri degli stessi quotidiani che pubblicano le ‘novità’, per capire che gli studiosi si erano già abbondantemente occupati del sottotesto di Bambi (la persecuzione degli ebrei) soggetto al ricorrente “double reading” delle fiabe.
Nondimeno, conviene rileggere questa versione (per chi non sa il tedesco) perché alcuni argomenti ‘pesanti’ che emergono nei riguardi della questione ebraica sembrano usciti dal divano di Sigmund Freud. Inoltre, vi si trova la conferma (anche se non ve n’era bisogno) dell’esistenza di un tempo e di un luogo irripetibili.
Per ora, abbiamo una certezza. La versione in lingua inglese del 2022 merita di essere letta (ma anche alcune versioni italiane dovrebbero essere stimolanti), perché dovrebbe essere più fedele di quella correntemente diffusa, e in ogni caso le premesse dovrebbero essere quelle giuste, perché Zipes è un noto germanista, studioso di letteratura comparata, con un particolare interesse per le fiabe (sarebbe un fairy tale scholar).
Zipes è anche fra i firmatari di un manifesto che invita al boicottaggio culturale e accademico di Israele: (potrebbe essere un caso di omonimia, anche se nome ed ateneo coincidono) come abbiamo inferito dalla sua adesione alla critical theory, che pure è molto utile e stimolante. Siccome noi non boicottiamo, invitiamo a leggere questa nuova versione di Bambi, sperando che in futuro si distingua meglio fra la realtà mediorientale e la fiaba che sovente si convoglia, in guisa di déjà vu che evoca tragedie e non strappa sorrisi. D’altronde, non è di tragedie che qui si parla?

Emanuele Calò, giurista