Un anno senza il Morè
“Un ricordo vivo e che dà frutti”
È passato un anno esatto dalla scomparsa di Vittorio Della Rocca, il “Morè” (1933-2021), uno dei rabbini più amati della Roma ebraica. Con autorevolezza, carisma e anche simpatia, un Maestro che ha lasciato un segno immenso non solo nella sua Comunità ma in tutto l’ebraismo italiano.
Una ulteriore conferma nelle molte centinaia di persone che si sono collegate al limud in sua memoria organizzato dalla famiglia, anche nel nome della moglie Rossana Piattelli che ha concluso la sua vita terrena poche settimane dopo il marito. Un sodalizio speciale il loro. Fin dal nome, ricordava il rav nella sua autobiografia Chiedi a tuo padre e te lo dirà, “io e Rossana abbiamo deciso insieme tutto ciò che ha riguardato i nostri figli, la loro crescita ed educazione: abbiamo cercato di inculcare loro il valore del rispetto, dell’amicizia, il senso profondo di appartenenza a una comunità”.
Un tratto distintivo anche fuori dal contesto familiare. Innumerevoli, ha spiegato infatti il figlio Roberto, rabbino anche lui e direttore dell’area Educazione e Cultura UCEI, “le persone che in questi dodici mesi mi han detto ‘Tuo padre, in questa circostanza, avrebbe fatto così'”. Parole e insegnamenti che si sono impressi in modo naturale nell’interlocuzione tra Maestro e centinaia, migliaia di allievi. “Papà era una persona bisognosa di affetto e che questo calore sapeva esprimerlo a sua volta” ha raccontato il figlio, ricordando come giovanissimo fu privato di quello del padre Rubino deportato e ucciso in campo di sterminio. Tra i valori trasmessi di padre in figlio “un grande dono, l’orgoglio di essere ebrei: una diversità che è per l’appunto un valore e non certo una menomazione”.
Quello del Morè, aveva sottolineato in precedenza il secondo figlio Jonatan, è un “ricordo vivo e che dà frutti: lo tocchiamo con mano in molti modi, anche in chi ritrovandosi al Sefer gli dedica un pensiero”. Jonatan si è poi soffermato sul salmo 29, molto amato dal padre, e sulla complessa sfida che ricade sui figli “di gestire la memoria, il ricordo dei genitori”.
Toccanti anche le parole dei nipoti Daniel ed Eitan. Con il primo che, citando una lezione del rav Jonathan Sacks sulle sfide della leadership, ha evidenziato come un popolo “possa mantenersi vivo solo attraverso una visione, un progetto di futuro”. E con Eitan, diventato da poco maskil, che ha spiegato come per lui e per tanti compagni di studio il nonno “abbia rappresentato l’inizio di un viaggio nella Torah, in cui lui ha trovato la soluzione a tanti problemi, con grande calore e coinvolgimento”.
Diventato maskil nel 1959, rav Vittorio Della Rocca aveva conseguito la Semikhà al Collegio Rabbinico Italiano con il titolo di “Chakham” nel 1982. Tra i Maestri che più hanno inciso nella sua formazione il rav David Prato e il rav Elio Toaff, di cui sarebbe diventato uno stretto collaboratore.