L’opportunismo degli odiatori
L’inesauribile logica del “noi contro loro”, agganciata al pregiudizio antisemita, si è adattata velocemente al periodo pandemico. È così, grazie alla gran cassa dei social network, si sono diffuse le più svariate teorie del complotto: il virus è una falso, è una cospirazione ebraica; oppure al contrario è reale, ma è sempre frutto di una cospirazione ebraica; gli ebrei sono gli untori che diffondono il Covid-19. Falsità che attingono ad un repertorio antico, ma che, nonostante il lavoro educativo portato avanti in questi anni, non si riescono ad eliminare. Questo perché, come spiega il progetto svolto dall’Osservatorio Mediavox sull’odio online dell’Università Cattolica in collaborazione con la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) e per conto dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), “l’odio ancestrale si adatta ad ogni circostanza in qualsiasi periodo storico, approfittando di un pubblico angosciato e arrabbiato, indebolito dalle crisi”.
Nel corso di un seminario sono stati presentati e discussi i primi risultati del progetto, incentrato sull’analisi dell’odio online basato sul pregiudizio antisemita. A intervenire, la Coordinatrice nazionale contro l’antisemitismo Milena Santerini, Stefano Pasta di Mediavox; per l’Osservatorio Antisemitismo del Cdec, assieme alla sociologa Betti Guetta, Stefano Gatti e Murilo Henrique Cambruzzi. A chiudere l’incontro, il dialogo tra il Consigliere UCEI Saul Meghnagi e i docenti Enzo Campelli e Federico Faloppa.
“Il tema è quello di analizzare la situazione per incidere, per cercare di scardinare i pregiudizi che costituiscono l’humus su cui l’odio antisemita e la discriminazione si alimentano. – ha evidenziato in apertura Agnese Canevari, dirigente dell’Unar – Riteniamo che solo un’azione forte e sinergica a diversi livelli istituzionale, della società civile, dell’accademia e di tutti gli stakeholders coinvolti possa essere efficace”. Una premessa, sulla necessità di collaborare, ripresa da Santerini, che è poi entrata nel merito del progetto di monitoraggio. “Uno degli obiettivi di questa ricerca è verificare se esista una continuità tra la propaganda nazista e il linguaggio d’odio antisemita presente oggi online”. La risposta è affermativa, l’analisi della coordinatrice contro l’antisemitismo, seppur con dei significativi distinguo. “La situazione generale in Europa è ben diversa rispetto agli anni ’30: le società europee nel dopoguerra hanno infatti eretto una diga per evitare che eventi come la Shoah si possano ripetere. L’edificio etico dell’Europa si basa sull’uguaglianza. Le discriminazioni sono punite dalla legge, anche se in diversi casi la loro applicazione è insufficiente”. Non c’è dunque un regime che si fa promotore di politiche sistematiche di esclusione di gruppi di cittadini, ma una struttura diversa. “Oggi il linguaggio d’odio trova nuove sponde. Si mimetizza, si nasconde nell’anonimato. Spesso usa strade non necessariamente esplicite, con forme di distorsione della Shoah (come nel caso dei no vax), di minimizzazione, di derisione. Diffonde dunque pregiudizi diluiti che per lo più non vengono rimossi dalle piattaforme social e, quando accade, trova comunque altri canali per esprimersi”. Inoltre, spiegava Santerini, il linguaggio d’odio odierno – non più verticale, ma orizzontale, ovvero non più necessariamente diffuso dall’alto, ma anche all’interno della società in maniera trasversale – ha adottato le strategie linguistiche e forme estetiche del passato: l’uso, come propugnato dai nazisti, della ripetizione martellante di contenuti semplici e poveri, di parole tossiche che entrino nell’inconscio del pubblico e ne condizionino il pensiero. La manipolazione emotiva, fabbricando emozioni negative, suscitando paura, risentimento, indignazione, rabbia; con il problema odierno che le piattaforme social approfittano di questa debolezza dell’utente che clicca e commenta di più questo tipo di contenuti negativi, che a loro volta diventano virali. “Terzo elemento di continuità, la diffusività e convergenza dei media. Infine l’uso dei meme: la caricatura dell’ebreo come il ‘mercante felice’ oggi lo troviamo attualizzato in varie forme attraverso i meme”.
A questi quattro elementi si aggiungono, ha evidenziato la Coordinatrice, le modalità retoriche dell’antisemitismo, anche qui radicate nell’armamentario dei discorsi d’odio del passato: la disumanizzazione, la cospirazione, la derisione. Tre elementi, ha spiegato Stefano Pasta, che riemergono chiaramente dai tweet monitorati dal progetto portato avanti dall’Osservatorio Mediavox in collaborazione con il Cdec. Pasta ha spiegato il lavoro operativo portato avanti, in particolare con l’estrazione, attraverso l’uso di parole chiavi, di circa duemila tweet tra centinaia di migliaia e da cui emerge che il 19 per cento è a sfondo antisemita. “È come si diceva un antisemitismo opportunistico in cui si accusano gli ebrei di tutto e del contrario di tutto. Il dato su cui lavoriamo e che vogliamo analizzare – ha aggiunto – è però comprendere i meccanismi di adesione”. In particolare perché si evidenzia la costruzione di gruppi “omogenei e alternativi” che propugnano queste strategie di polarizzazione. “L’idea è di costruire un sistema di noi contro loro, di buoni contro i cattivi sionisti ad esempio – ha rilevato Stefano Gatti, ricercatore del Cdec – Si propugnano come novelli Giordano Bruno contro la presunta inquisizione del pensiero, di cui farebbe parte ad esempio Liliana Segre”. Nel diffondere il pregiudizio antisemita online, questi gruppi, spiega Gatti, si costruiscono una mondo fittizio in cui loro sono gli unici a combattere “il regime totalitario e il pensiero unico”.
Per Federico Faloppa, Coordinatore della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni di odio, uno degli argini da creare di fronte alla diffusione dell’antisemitismo, anche in questo periodo pandemico e modificare i contenuti che emergono dai motori di ricerca. “C’è un articolo recente dedicato all’antisemitismo durante la pandemia negli Stati Uniti che inquadra un fenomeno interessante. Quando ci sono state le prime aggressioni anche violente contro gli ebrei usati come capro espiatorio, i giornali dicevano ‘ecco tornano le persecuzione contro gli ebrei’. Presentavano in modo critico questi avvenimenti criminogeni, ma allo stesso tempo riattivavano un discorso di vittimizzazione. – ha spiegato Faloppa – Discorso che sui più giovani aveva un’influenza molto negativa. Perché chi non conosceva il passato, andava a cercare sui motori di ricerca ‘perché gli ebrei sono così odiati? Cosa hanno fatto?’. E per una questione di algoritmi trovavano come prima cosa dei materiali antisemiti come spiegazione”. Una distorsione contro cui agire, ha evidenziato il docente, rilevando anche la necessità di andare a fondo del perché i meme e le immagini citate nella ricerca Mediavox-Cdec riattivino una retorica simile a quella nazista, quindi in certa misura introiettata dalla società.
“Come mai questo materiale vecchio di millenni in alcuni suoi aspetti riesce a conquistare tanti seguaci? Come mai riesce a dare credibilità nuova all’antisemitismo, a ricompattare alcuni gruppi? Perché il pubblico è coinvolto?”, sono gli interrogativi da cui ha invece preso spunto il professor Enzo Campelli, docente emerito dell’Università La Sapienza di Roma, nella sua riflessione. “Certamente c’è la grande variabile di internet. Ma non credo che sia limitato ad esso e non possiamo accusare solamente internet. Lo sforzo deve essere capire quali necessità questo ‘bisogno di antisemitismo’ va intercettando oggi”. Per Campelli infatti “in qualche modo l’antisemitismo è una necessità della cultura occidentale, per quanto paradossale e orribile questo possa essere. E ora l’antisemitismo si salda con il complottismo, che dà risposte semplici e tranquillizzanti, che offre una presunta soluzione ai mali del mondo, cioè trovare delle responsabilità attraverso le quali tutto si spiega, si ricompone e si pacifica”. Un mondo, ha aggiunto il professore, prigioniero di molteplici paure generate dalla pandemia e in particolare in cui si è spezzata “la fiducia che le prossime generazioni vivranno meglio di quelle precedenti. E in cui si è spezzata la credibilità stessa della fiducia come bene relazionale”. Elementi, ha sottolineato, da considerare nel loro insieme per poter studiare l’antisemitismo nel suo volto attuale.
“Probabilmente ci troviamo di fronte a un fenomeno non superabile”, l’analisi in conclusione del pedagogista e Consigliere UCEI Saul Meghnagi. Almeno non superabile definitivamente. Ma questo, ha rilevato Meghnagi, non giustifica la mancanza di intervento. Anzi. “Certamente ci troviamo in una fase storica di incertezza e paura nella quale gli ebrei rischiano di essere quelli che ne subiscono maggiormente l’impatto. Ma sono in generale le diversità ad essere sotto attacco”. E per rispondere a questa situazione, ha rilevato il pedagogista, è necessario impegnarsi “in un processo educativo che è solo all’inizio”. Ma che si sta impegnando nell’adozioni di strumenti per contrastare il linguaggio dell’odio come, ha aggiunto il Consigliere UCEI, le linee guida sull’antisemitismo adottate dal ministero dell’Istruzione. “Noi dobbiamo combattere su un amplissimo fronte” e impegnarci nella ricostruzione “della modalità di formazione dei valori”.
Daniel Reichel
(Immagine tratta dal catalogo della mostra “Saul Steinberg Milano New York” curata da Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari e realizzata insieme alla casa editrice Electa)