“L’uomo? È come un albero”

Attenzione rigorosa alle fonti, ma anche molte interpretazioni originali, caratterizzano l’ultimo saggio di Paolo Orsucci Granata.
Piccolo libro per il 15 del mese di Shvat. Appunti sul Capo d’Anno degli Alberi, pubblicato dall’editore Salomone Belforte nella sua collana di studi ebraici, esce nel momento giusto dell’anno, quello che cioè coincide con la festa cui è dedicato. Ma è un volume che ha almeno un altro pregio considerevole: quello di non avere scadenza.
“Se hai in mano un giovane albero e qualcuno viene a dirti che è venuto il Messia, pianta prima l’albero, e poi vai ad accoglierlo”, diceva rav Yohanan Ben Zakkai. L’itinerario tracciato da Orsucci Granata conferma quanto rilevante sia, in tutta la storia ebraica passata e moderna, questa relazione.
I primi alberi sono naturalmente quelli del giardino dell’Eden. Ma non ce lo ricordiamo, spiega l’autore, “perché quando nasciamo tutto ricomincia daccapo e ogni volta è la prima”. Eppure quell’albero, dal cui frutto siamo stati esclusi ma che ci siamo comunque presi, “vive dentro di noi: la nostra colonna vertebrale è quell’Albero della Conoscenza e noi siamo l’Eden che lo ospita”.
L’albero anche come “concetto-casa che tutto racchiude e dispiega, l’albero che è moltitudine”. Tra le moltitudini il cipresso con cui è costruita l’arca di Noè. Abitazione salvifica, prosegue, ma anche “rifugio in attesa di un nuovo inizio per il mondo, lavato dall’acqua che porta via l’eccedente”. L’uomo stesso, fa notare Orsucci Granata, è come un albero. Che è “purezza nella forma e purezza di creatura vivente”. Ed è perché l’uomo è come un albero che quando nasce un bambino “è tradizione piantarne uno, i cui rami serviranno a costruire la chuppà”. E cioè il baldacchino nuziale.
Tu Bishvat in particolare “è il legame intimo con la natura, ne sottende il rispetto esteso a quello più ampio della Creazione e del suo Creatore”. Attraverso di essa infatti è come se la Diaspora ai quattro angoli del mondo “si trovasse in Eretz Israel e battesse la propria vita attraverso il movimento di un metronomo presente nel Tempio che non c’è più ma che continua a riverberarsi nei cuori di ognuno”.
Il tutto all’insegna di un viaggio “dal guscio alla polpa”, quello che scandisce il gioioso e significativo appuntamento del Seder.
Piccolo libro per il 15 del mese di Shvat ha la prefazione del rav Luciano Caro. Un nuovo tassello, sottolinea, “nel mosaico di un percorso ispirato al convincimento che una maggiore conoscenza della cultura ebraica può contribuire ad annullare antichi pregiudizi”.