Oltremare – Tradizione
L’espressione inglese “too much information” non saprei tanto come tradurla, ma è il mio pensiero quando vedo sui social fotografie che avrei davvero preferito non vedere. È successo, e succede ogni anno, in occasione della celebrazione culinaria del sacerrimo Beshallach, che è lungi dall’essere un semplice sabato piovoso – lo è, a volte, perfino alle nostre latitudini impervie alle precipitazioni, e lo era decisamente quest’anno, un anno di pioggia relativamente tarda che ci accompagna da diversi giorni, finalmente.
Chi non sa di cosa sto parlando, ovvero del Frisensal o Ruota del Faraone, o Pasta della Shirat HaYam, ha già una vita triste di suo, e non vorrei rigirare coltelli nella piaga; ma ecco, le tagliatelle che nelle famiglie italiane si fanno per il sabato della parashà di Beshallach sono fra le tradizioni più radicate e meno legate a feste comandate che esistano nell’ebraismo diasporico. Diciamolo, è un piatto che sta lì, sospeso fra i dolciumi ipercalorici di Channukkà e Purim, senza una festa vera cui appigliarsi, anche se cade sempre accanto a Tu Bishvat, festa degli alberi e trionfo della frutta secca, ma non è neanche un dolce, anzi. È un primo piatto, o anche piatto unico a seconda del volume che si decide di mangiarne. Tagliatelle, salsiccia, uvette e pinoli. Ripassate in forno, ma niente di più. Niente svolazzi poetici, niente ingredienti aggiunti, niente interpretazioni. Solo la pura e semplice tradizione di mare tempestoso con ruote e mozzi di ruote e teste di egiziani (si perdoni il poco politically correct in epoca di pace fra stati e collaborazione fra popoli, ma qui si tratta di egiziani che volevano farci la pelle, non fosse che l’Altissimo, con tempismo perfetto, ha richiuso il Mar Rosso che noi avevamo attraversato senza bagnarci neanche un po’ e li ha annegati senza tante cerimonie).
Ora, forse, proprio io, che per non usare carne animale faccio uso di salsicce alternative, assolutamente parve e senza un passato di esseri viventi sulle spalle, dovrei tacermi. Ma almeno la forma è quella richiesta: rotelle che rappresentano appunto le ruote dei carri dei nostri inseguitori. E quando invece vedo fotografate derive spurie con anacardi al posto dei pinoli (ditemi voi se un anacardo può ricordare il mozzo di una ruota), o aggiunte di frutta secca del tutto irrilevante, passo oltre domandandomi che bisogno c’era. Ma se vedo addirittura una evidentissima coloritura rossa data da salsa di pomodoro, su tagliatelle che al massimo dovrebbero essere azzurrine rappresentando le onde del mare, ecco qui metto il mio paletto. Il Frisensal rosso, no. Anche se Rosso è il nome del mare che abbiamo attraversato fuggendo precipitosamente dall’Egitto schiavista e da un faraone fortemente propenso al genocidio, no. Meglio rischiare di generazione in generazione che il Frisensal si secchi un po’ in forno, prendendo quel meraviglioso effetto croccante che è così difficile raggiungere e non superare. La tradizione sta lì, in quell’equilibrio impossibile.
Daniela Fubini