Dall’Iraq all’Afghanistan, solidarietà senza confini

Con la variante Omicron che continua a diffondersi, gli ospedali israeliani sono sotto forte pressione. “Tra una settimana cominceremo a vedere una diminuzione dei numeri dei contagi, ma abbiamo ancora due o tre settimane difficili davanti a noi. La malattia è meno grave, ma il sistema è sotto pressione, soprattutto i reparti di emergenza”, ha detto il direttore generale del ministero della Salute Nachman Ash. L’attenzione deve quindi rimanere alta. Anche per permettere al sistema sanitario di poter garantire a tutti i pazienti, Covid e non, le cure necessarie. Come nel caso del giovane Farouk, arrivato dall’irachena Kirkuk per un’operazione salvavita. Nato con un difetto cardiaco, il quattordicenne Farouk sembrava non avere speranze. I medici in Iraq avevano spiegato al padre che nel paese non c’era possibilità di fornire le cure necessarie al figlio, già operato da piccolo in Sudan grazie a un intervento umanitario. Poi, grazie all’organizzazione Shevet Achim, si sono aperte le porte d’Israele. E in particolare dell’ospedale Schneider di Petah Tikva. Qui di recente, nel mezzo della pandemia, è stato portato Farouk. Debilitato dal complicato viaggio, il giovane è rimasto per dieci giorni ricoverato per fare in modo che riprendesse le forze e riuscisse ad affrontare l’operazione chirurgica. Poi è arrivato il momento di entrare in sala operatoria. L’emittente Kan, che ha raccontato la vicenda, ha spiegato che l’intervento cardiaco è durato diverse ore e la procedura alla fine è stata definita un successo. Il padre del giovano, parlando con i giornalisti di Kan, ha definito “Israele un paese dall’umanità straordinaria”. Ufficiale delle forze curde che hanno combattuto in Iraq contro l’Isis, l’uomo ha ringraziato i medici israeliani e sottolineato come “solo uno stupido non vorrebbe avere legami con Israele”.
Un altro corridoio umanitario non scontato che si è creato con Israele è quello che ha portato in salvo 87 afghani in fuga dal regime talebano. A costruire la rete che ha permesso al gruppo di uscire dal paese lo scorso ottobre, il gruppo umanitario israeliano IsraAID. Oggi si trovano in Albania, da dove hanno avviato il processo per ottenere lo status di rifugiati in Canada. Tra loro ci sono giudici, giornalisti, personaggi televisivi, ciclisti, attivisti dei diritti umani, familiari di diplomatici afgani, artisti, agenti delle forze dell’ordine e scienziati, ha spiegato IsraAID, che negli scorsi giorni ha incontrato il gruppo in Albania. “Dal momento in cui questo gruppo di rifugiati ha lasciato l’Afghanistan ad oggi, l’obiettivo principale di IsraAID è stato quello di garantire che avessero tutto il necessario per intraprendere il difficile viaggio di costruzione di una nuova vita”, ha spiegato Yotam Polizer, numero uno di IsraAID.