La Costituzione, noi
e quell’obiettivo da raggiungere
Nel 1938 una serie di decreti dava inizio, nel nostro Paese, alla persecuzione degli ebrei: il D.L. 5 settembre 1938, n. 1390 introduceva i “provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”, tra i quali vi era l’espulsione degli insegnanti e il divieto di iscrizione a scuole di qualsiasi ordine e grado per gli studenti ebrei. Il successivo D.L. 17 novembre 1938, n. 1728 stabiliva i criteri per individuare gli appartenenti alla “razza” ebraica e tracciava una netta distinzione con gli altri cittadini, definiti di razza “ariana”.
Dieci anni dopo, il 1 gennaio 1948 – mentre è ancora vivo il dolore della guerra e sono laceranti le sofferenze della Shoah – entrava in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana. Tale legge, fondamentale dello Stato, occupa il vertice della gerarchia delle fonti dell’ordinamento giuridico italiano. L’articolo 3, tra quelli che ne costituiscono i “principi fondamentali”, stabilisce, in forma inequivocabile, che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’utilizzo del termine “razza” può sorprendere. Le “razze” umane non esistono. Ciononostante, i nostri Padri costituenti hanno ritenuto di dover usare questa parola. Le ragioni di questa scelta sono legate alla storia del nostro Paese e, anche, a quella legge, del 5 settembre 1938, inizialmente citata, che ha introdotto, in Italia, “provvedimenti per la difesa della razza…”. Il termine “razza” è scritto per inibirne l’uso e, forse, superarlo concettualmente.
L’idea del rispetto per la coscienza di ogni persona religione o comunità, posta alla base di una visione specifica delle funzioni dello Stato, è fondata sul riconoscimento delle comuni basi etiche della vita e del suo significato ultimo. Indica l’impegno affinché ciascuno possa seguire i propri principi morali, senza che la supremazia di un credo sovrasti gli altri, sia sul piano giuridico sia nella definizione delle regole condivise della convivenza.
La sfida della democrazia, afferma con le sue parole la Costituzione, è quella di regolare, oggi più che mai, la convivenza tra le tante, variegate, sensibilità: gli usi, le consuetudini, l’analisi del presente, l’elaborazione del passato, la memoria si configurano come materie di confronto e, a volte, di conflitto per la definizione di progetti e di modelli di società.
In tale ottica, analizzare le conseguenze delle ignobili leggi razziste, delle deportazioni, delle uccisioni, della Shoah significa non solo riflettere sulle atrocità, ma porsi degli interrogativi su quanto accaduto, sui perché di un odio incomprensibile, sull’ideologia stessa di persone che agivano ignorando o negando ai perseguitati una dimensione umana.
Dai questi e da altri analoghi quesiti scaturisce una ulteriore domanda di carattere più generale: come ricordare oggi? C’è un primo modo, quello di commemorare coloro che hanno perso la vita, riproponendo una frase spesso sentita: “perché tutto questo non si ripeta”. C’è un secondo modo, più complesso: ricordare per progettare un futuro diverso, agire a tale scopo, considerare piccoli aspetti della vita e delle relazioni sociali come parte di un processo più ampio di rispetto reciproco.
La nostra Costituzione è rigorosamente orientata verso la seconda modalità, sia fornendo prescrizioni formali, sia fissando principi etici ai quali richiamarsi per costruire un futuro fondato sul confronto, sul dialogo, sullo scambio tra diversi.
Dopo la Shoah, l’ebraismo europeo, depauperato di molte risorse umane, ha faticato nel ritrovare una propria specificità, complementare rispetto alla collettività più ampia. L’apertura dei cancelli di Auschwitz non poteva significare un ”naturale” ritorno alla condizione del passato. L’autodefinizione della propria identità nei contesti nazionali europei è stato per molti, dopo la guerra, la ripresa di una vita troncata dalla discriminazione, dalla deportazione, dalla rottura di legami, da relazioni difficili da recuperare con i propri concittadini. Gli ebrei europei hanno progressivamente affrontato le dinamiche emotive e affettive connesse con la terribile esperienza. Hanno ricostruito proprie comunità, spesso depauperate di molte risorse umane e materiali. Hanno posto al centro della propria presenza la tutela di una propria specificità importante per la crescita di una cultura nazionale che da diverse tradizioni può trarre alimento e ricchezza, come è stato dall’Unità del Paese e come dovrà fare oggi di fronte a un mutamento sociodemografico inedito.
Ricordare la propria storia, riflettere sulla propria esperienza, ragionare su ciò che è stato, per le collettività come per i singoli, significa guardare il passato per proiettarsi nel futuro.
La Costituzione, nella definizione di principi fissati, in particolare, nel suo articolo 3, sono un obiettivo da conseguire, una norma da rendere operativa, un fondamento etico che gli ebrei italiani, anche per la loro Tradizione, possono porre quale bandiera dei propri diritti e fondamento di un impegno concreto per lo sviluppo della convivenza civile e democratica di tutto il Paese.
Saul Meghnagi, Consigliere UCEI
(18 gennaio 2022)