“Sarà un canto a salvare il mondo”

La musica concentrazionaria è un patrimonio talmente vasto e in parte inesplorato che le ottomila partiture finora emerse un giorno potrebbe rappresentare “solo un frammento di quanto creato” negli oltre vent’anni che vanno dall’apertura di Dachau alla chiusura dell’ultimo gulag. Lo scrive Francesco Lotoro, pianista e direttore d’orchestra d’origine barlettana, in Un canto salverà il mondo (ed. Feltrinelli). Un libro-testimonianza per ripercorrere tutto il senso e l’ampiezza della missione cui ha scelto di consacrare la propria esistenza: la valorizzazione di un patrimonio intellettuale e morale immenso che è oggi al centro di vari progetti, a partire da una Cittadella che sorgerà in futuro nella sua città natale andando a riqualificare una vecchia area industriale dismessa.
Una sfida universale, senza confini. Per l’autore essere ebreo significa infatti “prendersi cura anche della musica scritta da altri popoli”.
Un canto, spiega, salverà il mondo. E sarà “ininterrotto, ancestrale, odorante di pietra levigata, intenso come un arcobaleno dopo una forte pioggia, con melodie che si stagliano sopra le nostre metropoli”. Di ciò sarà la sostanza di questa musica, “più simile ai sogni reali che alla inconsistente realtà”. Nulla invece rimarrà “di Ghetto, Lager, Gulag”.
Una convinzione che è la cifra del progetto che porterà all’istituzione di questo nuovo complesso, ma anche nelle tante iniziative assunte finora e che gli sono valse, tra le onorificenze di maggior prestigio, il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e quello francese di Chevalier de l’Ordre des Arts et Lettres. Oltre alle 8mila partiture Lotoro dispone oggi di 12.500 documenti di produzione musicale nei campi (microfilm, diari, quaderni musicali, registrazioni fonografiche, interviste con sopravvissuti) e di alcune migliaia di testi e saggi. Da Budapest a Praga, da Tel Aviv a Shanghai: nel libro si è sempre in viaggio, alla ricerca di personaggi e fonti di luce. Aneddoti, difficoltà, speranze. E molti incontri straordinari nel segno di quella bellezza come Resistenza che è stata e non ha smesso di essere, nel suo riverbero, “una forma evoluta di elettromagnetismo dello spirito capace di trasformare la negatività del luogo fisico in positività del luogo mentale e spirituale”.
Un canto salverà il mondo ci permette di apprezzare i valori che hanno ispirato un impegno senza sosta e che forse non finirà mai. Impossibile infatti distaccarsene quando qualcosa ti è entrato nell’anima in modo così totalizzante e quando ci si è posti l’obiettivo, anche al prezzo di molti sacrifici personali, di “riparare alle sofferenze di qualsiasi natura subite dai musicisti autori di questa musica” e di “scovare ogni minuscola traccia tra carte e spartiti rimasti in ogni scaffale della Terra”.
Ricorda Lotoro che dovunque si creino condizioni di prigionia e sofferenza, lì nasce la musica. E che insieme ai “capolavori” possono coesistere “opere di livello mediocre o al massimo di buona fattura artigianale”. Ad accomunarli è però una condizione di cattività in grado di rendere l’intera produzione, a prescindere dal pregio artistico più o meno accentuato della singola opera, “un autentico capolavoro dell’ingegno”. Musica quindi che, anche per il solo fatto di esistere, annichilisce dittature e ideologie.
La musica prodotta in cattività, ribadisce Lotoro, “aveva poteri taumaturgici, rovesciava letteralmente le coordinate umanitarie dei siti di prigionia e deportazione, polverizzava le ideologie alla base della creazione di Lager e Gulag. Forse non salvava la vita, ma sicuramente questa musica salverà noi.”
Ecco perché, come fa lui da oltre trent’anni con passione inesauribile, è urgente recuperare, studiare, archiviare, eseguire.
Si chiede a tal proposito l’autore: “Se dodici anni di Terzo Reich hanno distrutto una bimillenaria eredità culturale in Germania, quanti anni serviranno per restituire al genere umano tesori e patrimoni creati sotto nazionalsocialismo e stalinismo, sprofondati in un settantennale oblio e ben lungi dall’esser pienamente recuperati?”.
Non è un caso che il suo viaggio inizi da Terezin, il campo della più spietata propaganda nazista ma anche “l’ultimo baluardo della grande letteratura musicale mitteleuropea della prima metà del Ventesimo secolo”.
Con la sua liquidazione arrivò la fine di un mondo che contemplava grandi nomi del calibro di Franta Goldschmidt, Pavel Haas, Bernard Kaff, Petr Kien, Franz Eugen Klein, Gideon Klein, Viktor Kohn, Hans Krása, Egon Ledeč, Rafael Schächter, James Simon, Carlo Sigmund Taube, Viktor Ullmann e František Zelenka.
L’élite musicale ebraica dell’Europa centro-orientale.