Ticketless – Io te vurria vasa

Poco dopo aver visto l’ultimo film di Sorrentino ho letto la bella intervista a Angelica Edna Calò Livne con il ricordo del nonno Anselmo Calò e l’omaggio commovente alla sua passione per il canto popolare. Film e intervista sono andati a rafforzare un mio sogno infantile, secondo cui ebraismo e napoletanità avrebbero aspetti comuni. Dice Angelica: “Tradizione è accendere le candele dello Shabbat, è preparare la casa per Pesach, è scambiarsi i doni a Hanukka, ma è anche mantenere viva quella fiamma che riscalda, che unisce, che trasforma un gruppo di persone di età diverse, che vivono vite diverse in luoghi lontani e diversi, in una famiglia”. Non voglio dire, anche se spesso mi è capitato di pensarci, che l’ascolto di un canto sinagogale in un’anima sensibile produca palpiti analoghi a quelli prodotti dall’ascolto di “Io te vurria vasa”. Qualche cosa di affine sotto sotto però deve esserci e questo qualche cosa credo valga per l’ebraismo italiano più che per qualsiasi altro. Ci sto ragionando. Non ho una spiegazione, mi piacerebbe trovare una spiegazione plausibile. Sebbene rallegrato da una colonna sonora così stimolante, vago nel buio.
Gli studi di Croce sulle leggende e le tradizioni popolari rimangono un fondamentale punto di partenza. Il filologo e grande ispanista Ezio Levi abitò a lungo a Napoli, frequentava Croce: credo avesse capito l’importanza del problema. Benché proveniente da una famiglia legata all’ebraismo lavorò sulle leggende popolari sorte intorno alla figura di Don Carlos. Gli fecero da battistrada, oltre a Croce, gli studi sulla poesia popolare (e sul teatro popolare!) di Alessandro D’Ancona, cui era legato da stretti vincoli di famiglia. C’è adesso, a ricordarcelo, un bel libro di Luisa Levi D’Ancona.
La città di Napoli celebrerà il Giorno della Memoria nel migliore dei modi, dedicando a Ezio Levi (che nel 1941 morì in esilio in America) un importante convegno che si svolgerà il 25 gennaio. Lo ha ideato Giancarlo Lacerenza, studioso che stimo, cui intendo affidarmi per uscire dal buio e capire che c’entri il monacello di Sorrentino con la mia curiosità. Le rappresentazioni popolari del sacro furono un vero e proprio genere letterario a fine Ottocento (con risvolti negativi nella circolazione della leggenda dell’Ebreo errante, anche questa studiata da D’Ancona: è una costante nella nostra storia della critica letteraria, che unisce la scuola pisana di D’Ancona, “Vita e morte di Mosé” (leggende ebraiche tradotte e illustrate di Salvatore De Benedetti) alle dispense per l’infanzia ideate da Augusto Segre ai tempi della mia beata infanzia, fino agli studi folklorici di Leo Levi. Ci deve essere una radice comune, forse mediterranea e non solo partenopea, che trascina verso il sud e induce i piemontesi come me a piangere ascoltando la serenata di compare Turiddu. Se vado in cielo e non ti trovo? Nemmeno ci entro in paradiso. Manco ce trasu. Suoni che precedono le parole. Eros che sovrasta il Logos e il Nomos?

Alberto Cavaglion