Società, modelli e illusioni
“Un giorno forse, scriverò quel che so, quel che ho visto e sopportato, e denuncerò la più grande impostura del nostro tempo: l’esproprio e l’eliminazione dell’ideale comunista da parte del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Non ci sono persone meno comuniste di quelle. Sono degli imboscati, dei pusillanimi, dei burocrati che sono riusciti a innalzarsi al vertice del potere e auspicano di restarci il più a lungo possibile. Con ogni mezzo. […] Il resto – la miseria, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la lotta di classe – sono argomenti che servono loro da specchietti per le allodole utili a giustificare le loro azioni e a manipolare i poveri idioti che ci credono ancora.”
Queste parole sono pronunciate da un fittizio Ernesto Guevara, nel libro “La vita sognata di Ernesto G.” (2012) dello scrittore francese di origine ebraico-algerina Jean-Michel Guenassia, conosciuto soprattutto per il suo romanzo di esordio “Il club degli incorreggibili ottimisti”. Il libro che ho citato racconta un secolo di storia vissuta da Joseph Kaplan, medico ebreo praghese che dopo numerosi esili, persecuzioni, e trascorsi tra Parigi ed Algeri tornerà di nuovo nel dopoguerra a Praga. Nella Cecoslovacchia comunista Kaplan come parlamentare sarà testimone del famigerato processo a Rudolf Slánský del 1952, dove il Primo Segretario e altri dirigenti del partito – 11 su 14 erano ebrei – furono condannati alla pena capitale, e da lì conoscerà in maniera sempre più drammatica il volto mostruoso e repressivo del regime.
Il Che Guevara che viene inserito nella narrazione, conosciuto da Kaplan perché preso in cura nel suo sanatorio in Moravia dopo l’esperienza in Congo, è molto diverso dal leader rivoluzionario conosciuto a livello globale. Un uomo semplice ormai disilluso e conscio del fallimento della rivoluzione, critico nei confronti del socialismo reale, piuttosto un romantico che sogna di scappare con la figlia di Kaplan a Buenos Aires per condurre una vita “normale” e ritirata. Se non fosse che anche egli stesso cade infine nelle trappole e nel tradimento della dittatura comunista interessato a lui “più da morto che da vivo”.
Guenassia riprende con questo racconto alternativo la tesi non del tutto inverosimile che Guevara fu mandato appositamente in Bolivia dal regime cubano su indirizzo di quello sovietico per essere ucciso. Teorie oggi poco amate dalla maggioranza dei neocomunisti rimasti perché metterebbero certo a rischio le loro basi storiche ricostruite ad hoc.
Ma ciò che in fondo l’autore sembra domandarsi è se al contrario dei vari regimi che si impossessarono di queste idee “un socialismo dal volto umano” sarebbe potuto esistere (o durare per tempo), denunciando il fatto che in paesi come la Cecoslovacchia “i veri comunisti siano stati tutti impiccati o buttati in prigione anzitempo” – come afferma Helena la figlia di Joseph Kaplan.
La risposta, in qualche modo offerta dalla storia (ed in parte anche dal Guevara letterario), potrebbe essere che in fondo anche i primi rivoluzionari e i “veri comunisti” per quanto mossi almeno in teoria da nobili ideali finirono spesso per aprire la strada e lasciare spazio ai dittatori sanguinari e ai burocrati d’apparato, i quali poi una volta al potere diventarono i loro stessi aguzzini. Le teorie marxiste, liberamente interpretate, lo sappiamo, non hanno evitato completamente le aberrazioni messe in atto dalle dittature comuniste del Novecento.
Al crepuscolo del secolo di Joseph Kaplan, nome non a caso kafkiano, non resta che l’aporia del tempo corrente: morte le illusioni dei secoli precedenti quale idee contrapporre alle imperfezioni della società attuale, unico modello a noi rimasto.
Pavel, altro personaggio che ricomparirà nel “club degli incorreggibili ottimisti”, esule a Parigi perché vittima e dissidente del regime cecoslovacco, non rinnegando l’idea socialista nell’incontro con la nuova Praga affermerà: “Abbiamo combattuto perché non foste più vittime dello sfruttamento, non per farvi diventare dei bravi consumatori”.
Francesco Moises Bassano
(21 gennaio 2022)