Eliezer Schweid (1929-2022)

Scomparso pochi giorni fa (16 shevat) a Gerusalemme, dove era nato, il professor Eliezer Schweid è stato riconosciuto quasi all’unanimità come il più significativo filosofo di Israele. I suoi corsi all’università ebraica hanno influenzato migliaia di studenti e la sua presenza nella società israeliana, a tutti i livelli (non solo accademici), ha lasciato un segno che durerà a lungo. Soldato nelle fila del Palmach nel 1948-49 e tra i membri fondatori del kibbutz Tzorà (non lontano da Beit Shemesh), è come studioso di pensiero ebraico e come educatore che Eliezer Schweid si distinguerà, diventando per quarant’anni uno dei pilastri del dipartimento di machshevet Israel all’università ebraica di Gerusalemme, con frequenti visiting professorship a Stanford, Yale e Oxford. Autore di numerosi libri e saggi, ma anche di articoli su quotidiani e riviste comprensibili a tutti, Schweid ha ricevuto nel 1994 il prestigioso Pras Israel per i suoi contributi in ambito filosofo e pedagogico. Pochi come lui, infatti, hanno elaborato le contraddizioni dei cosiddetti secular Jews, sia israeliani sia diasporici, e forse nessuno più di lui si è sforzato di creare ponti tra il mondo ebraico secular, ossia laico, e quello religioso, che in Israele conosce le infinite sfumature dell’ortodossia. Individuare sentieri per un consapevole moderno recupero della tradizione e delle fonti classiche del giudaismo da un lato e ripensare l’halakhà in termini più umanistici dall’altro sono stati due obiettivi del suo “fare filosofia ebraica”. Pur essendosi formato alla scuola di Aron Gordon, Achad Ha’am e Martin Buber, non ne accettava il rifiuto acritico dell’halakhà; non di meno era convinto che l’halakhà fosse un processo in continuo rinnovamento per il popolo ebraico e che il sionismo avesse creato le migliori condizioni per il rinnovamento della stessa halakhà. Teorico della teshuvà, il ‘ritorno’ nella più vasta accezione etico-religioso-politica del termine, e assertore convinto della centralità della terra di Israele per gli ebrei, ovunque siano, lavorò sempre perché lo Stato di Israele mantenesse in equilibrio le proprie dimensioni ad un tempo ebraiche e democratiche, e perché venisse riconosciuto il ruolo che l’elemento religioso svolge nella cultura degli ebrei pur nel rispetto della libertà soggettiva degli individui. In ciò gli fu maestro il rabbino Haim Hirschenson (1857-1935) del cui pensiero fu divulgatore. In sintesi, le ricerche e gli insegnamenti di Schweid erano volti a costruire un ethos israeliano condiviso, disinnescando i potenziali conflitti ideologici interni alla società e abbreviando il gap tra auto-nomia e teo-nomia, tra modernità e tradizione, tra secolarità e halakhà. Non a caso la sua opera più nota, del 1994, si intitola “Democrazia e halakhà”. Chi scrive seguì un suo corso all’università ebraica, nel 1995, dedicato alle risposte del mondo ortodosso alla Shoah, in cui venne presentato tra l’altro il pensiero di Viktor Frankl, Eliahu Dessler e Kalonymos Shapiro. Che il suo ricordo sia in benedizione, e la sua opera studiata.

Massimo Giuliani

(23 gennaio 2022)