Il 16 ottobre e il Collegio Militare,
la testimonianza ritrovata

L’11 ottobre 1943 Guido e Virginia Passigli prendono un treno che da Firenze li porta a Roma. Hanno una convinzione: un periodo lontano da casa potrà giovare alla loro salute prostrata da un terribile lutto, la scomparsa prematura del figlio Raffaello annientato da una malattia incurabile. Non è un viaggio al buio visto che nella capitale possono contare sul sostegno di Mario, il fratello di Guido, che li accoglie nel suo appartamento di via Mecenate 79 dove vive con la sua famiglia. Quei volti amici potranno forse aiutare a risollevare lo spirito. Sarà però, per entrambi, soltanto una fragile illusione. A quella stessa porta, infatti, appena quattro giorni dopo si presenteranno i nazisti. Era l’alba del 16 ottobre, il “sabato nero” degli ebrei romani. Anche i coniugi Passigli saranno imprigionati nelle stanze dell’ex Collegio Militare in via della Lungara e quindi deportati, senza possibilità di ritorno, ad Auschwitz.
Prima della partenza un gesto di commovente lucidità: la stesura di un “messaggio di commiato” che sarebbe poi arrivato tra le mani dei loro cari. Un documento straziante e a suo modo storico, trattandosi dell’unico testo scritto e fatto uscire dal Collegio di cui si è oggi a conoscenza. Il 16 ottobre visto, quindi, dalla prospettiva delle sue vittime. In quelle ore di strazio e attesa verso destinazione ignota.
“Credevo che esistessero numerose testimonianze del genere. Invece, dal confronto con alcuni storici, è emersa l’unicità di questo documento. La cosa mi ha molto colpito” racconta il nipote Guidobaldo, in passato presidente della Comunità ebraica fiorentina. È arrivata così la spinta ad andare oltre la propria cerchia familiare, in particolare attraverso un libro appena pubblicato dall’editore Giuntina: La “comitiva”. Analisi del messaggio di commiato di Guido e Virginia Passigli scritto dal Collegio militare, Roma, 17 ottobre 1943. “Un prezioso e commovente messaggio, un documento che giunge quasi dall’aldilà, destinato ad uso privato ma che diventa, con la sua pubblicazione, un importante elemento di Public History” spiega nella sua prefazione la storica Liliana Picciotto.
È la speranza che ha animato Guidobaldo, che oltre a questo “commiato” si sofferma sulle vicende di famiglia in una prospettiva estesa parlandoci ad esempio del proprio percorso di vita e salvezza in quei mesi drammatici. Per lui, bambino al tempo delle persecuzioni, si aprirono infatti le porte del convento delle Suore di San Giuseppe anche in attuazione al volere di Elia Dalla Costa, l’arcivescovo di Firenze che nel 2012 è stato proclamato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme.
Si salverà anche la madre Albana Mondolfi, che ritroverà poi l’amore nella figura di un sopravvissuto all’orrore: il tipografo galiziano Schulim Vogelmann, che ad Auschwitz aveva perso la moglie Annetta Disegni e la loro figlioletta Sissel di appena otto anni. Due nomi che per Firenze corrispondono, da qualche giorno, ad altrettante pietre d’inciampo.
Un altro cerchio si chiude ora con questo volume. La dedica di Guidobaldo è alla moglie Milka, “dolce e saggia compagna di vita per oltre sessantuno anni, che avrebbe seguito con passione questo mio lavoro per consegnarlo insieme alle nostre figlie e ai nostri nipoti”.

(24 gennaio 2022)