Dal Quattrocento a oggi,
l’impronta ebraica a Novara 

Qualche mese fa la città di Novara è tristemente venuta alla ribalta delle cronache, allorché un centinaio di manifestanti hanno sfilato con addosso le casacche che ricordavano i pigiami a righe dei prigionieri nei campi di concentramento. L’iniziativa ha fatto insorgere le comunità ebraiche italiane e non solo. Da quella vicenda è nata l’idea dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, realizzata con grande successo ieri, di svolgere la quinta edizione della Run for Mem proprio a Novara, come segnale di risposta, modificando la consuetudine di svolgere la corsa per la memoria in una città sede di Comunità ebraica, come accaduto per le quattro edizioni precedenti tenutesi a Roma, Bologna, Torino e Livorno.
Questo fatto ha suscitato la curiosità e le domande di molti, ebrei e cittadini di Novara, che si sono chiesti se sia mai esistita a Novara una Comunità ebraica, o se siano rintracciabili segni che riconducano a una presenza ebraica nel territorio novarese. Per vero, da quanto può apprendersi dalle fonti storiografiche e archivistiche, Novara non è mai stata sede di una comunità ebraica, neppure di un ghetto o di una Sinagoga e non si è così sviluppata una vera e propria storia del nucleo ebraico, ma tante storie e percorsi di singoli ebrei o di famiglie.
Il primo documento relativo alla presenza ebraica a Novara è il rinnovo del privilegio, concesso nel 1447, ai feneratori Abram Josep de Alamania e Grassino de Vicentia. Nel 1449 e nel 1453, la condotta fu confermata a Josep e a Salomone de Alamania, ma il vicario del vescovo tentò di imporre ai due feneratori l’obbligo del segno distintivo, in contrasto con il loro privilegio. Nel 1466 venne ordinato al podestà di provvedere perché gli ebrei residenti in città non venissero molestati nelle loro abitazioni e nelle loro attività. Nel 1477 gli ebrei di Novara si appellarono al Duca per non far introdurre le misure restrittive proposte dal Comune nella loro condotta.
Nell’accusa di omicidio rituale rivolta, nel 1479, contro gli israeliti del Ducato, in seguito alla presunta uccisione del piccolo Simone da Trento, fu coinvolto anche Grassino di Novara e nel 1490 fu decretata l’espulsione dalla città, con minaccia di confisca delle proprietà, per quanti non avessero abbandonato il luogo entro un mese. Dopo più di dieci anni di silenzio, i documenti testimoniano nuovamente della presenza ebraica a Novara, in occasione del censimento ordinato nel 1513, da cui risultava vivere in loco solo tale Vita, con moglie, cinque figli, due fantesche e quattro parenti e servitori. Nel 1550, invece, tra gli ebrei eletti rappresentanti dell’Università, figurava Clemente Clava, che, poco più tardi, era tra i deputati all’esazione delle tasse ebraiche. La famiglia Clava fu, peraltro, l’unica a risiedere a Novara per tutta la seconda meta del secolo XVI.
Rossella Bottini Treves e Lalla Negri nel volume Novara ebraica. La presenza ebraica nel Novarese dal Quattrocento all’Età Contemporanea, edito nel 2005, restituiscono uno spaccato di una vicenda atipica, ma pur sempre ancorata saldamente al mondo ebraico e ricca di notizie interessanti, che partono dal Quattrocento sino ai tempi attuali, con un piccolo nucleo ebraico profondamente partecipe delle vicende cittadine. Specie nella prima metà dell’Ottocento sono documentati i rapporti tra famiglie di imprenditori e commercianti ebrei, tra cui i Treves e i De Benedetti, con cittadini novaresi, ma tra di loro si fanno strada anche letterati e docenti universitari.
E quando nel 1849 in pieno Risorgimento fu combattuta la famosa battaglia di Novara, il contributo ebraico per gli ideali di unità e libertà è testimoniato da una lettera scritta dal Rabbino di Vercelli Giuseppe Levi, ove si riferisce che “fra gli abitanti di Novara che soffrirono nella ritirata della nostra armata, si trovano i Debenedetti, il cui negozio fu totalmente saccheggiato”.
Informazioni sugli ebrei a Novara negli ultimi due secoli ci provengono dal piccolo cimitero ebraico (dopo la seconda guerra mondiale vi furono seppelliti anche ebrei di passaggio tra cui Moisesz Aron Hamerszlah, mendicante apolide nato a Varsavia nel 1897, sopravvissuto allo sterminio nazista e morto a Novara nel 1973 e Amadio Terracini, fratello di Umberto Terracini).
Le persecuzioni razziali non risparmiarono Novara: quattro docenti ebrei, Virginia Finzi Lombroso, Ester Levi, Benvenuta Treves, e Giulio Reichenbach di Padova, insegnante nel liceo classico, furono allontanati nel ’38 dalle scuole cittadine.
In particolare tre ebrei hanno lasciato un segno nella cultura di Novara: Salvatore De Benedetti, intellettuale del Risorgimento italiano, Benvenuta Treves, impegnata nella cultura e nella vita politica e sociale e Renzo De Benedetti, pittore dall’arte sommessa e sincera.
Nel libro di Bottini Treves e Negri sono documentati anche gli eccidi e le deportazioni che macchiarono il Novarese dal settembre 1943, non solo le stragi di Meina, Arona, Stresa, Baveno, Intra, Mergozzo, ma anche vicende di rastrellamenti, sequestri e asportazioni di beni contenuti nelle case e nelle cassette di sicurezza della Banca Popolare di Novara delle famiglie Diena, Toscano, Debenedetti, Dina, Jona, Catz e Treves. Tre residenti in città finirono in campo di sterminio, Sara Bertie Kaatz, Giacomo Diena e suo zio Amadio Jona, novantenne, prelevati dal tenente delle SS Helmut Staube il 19 settembre ’43.
Drammatica la testimonianza di Benvenuta Treves, che attesta i legami esistenti tra gli ebrei novaresi: “Domenica 19 settembre 1943… alle 9,30, sono in casa mia e sto dando lezioni poiché, come ebrea, sono stata allontanata dalla scuola e insegno ai privati. Un messaggero bussa alla porta recando un biglietto. È del ragionier Muggia, mio buon conoscente e ufficiale della prima guerra mondiale. Ha saputo da un suo amico, funzionario della Questura di Novara, che oggi vi sarà un rastrellamento di ebrei e m’invita ad allontanarmi. Non perdo tempo. Infatti, a mezzogiorno preciso, fascisti e tedeschi bussano alla mia porta”. La Treves, che molti anni dopo avrebbe curato il volume Tre vite. Studi e memorie di Emilio, Emanuele, Ennio Artom, corre ad avvertire gli altri che con un veloce e drammatico passaparola scappano, ma Giacomo Diena “non fugge, ringrazia chi lo avverte ma soggiunge che a un grande invalido, anche se ebreo, non oseranno torcere un capello. Viene invece prelevato, anche se invalido, e portato all’accantonamento tedesco, nelle scuole Morandi. Di lui non si sa più nulla, certo, in Germania non arrivò mai”.
Pochi giorni dopo la retata, ufficiali delle SS si presentarono alla Banca Popolare di Novara, per farsi aprire le cassette di sicurezza intestate ad ebrei e asportarvi i beni contenuti.
Oggi vivono a Novara alcune famiglie di ebrei, facenti capo alla Comunità Ebraica di Vercelli, di cui Novara è una delle Sezioni.